PEACE-KEEPING
«L’Italia è pronta a guidare una forza internazionale
di peace-keeping a Tripoli quando le condizioni
sul terreno lo consentiranno»
BRUXELLES
Alle porte dell’Europa non c’è solo il dramma dell’Ucraina, «una vera polveriera sta per esplodere dalla Libia fuori controllo in tutto il Mediterraneo, a poche miglia dalle coste italiane». Matteo Renzi getta sul tavolo del Consiglio europeo il dramma immigrazione, l’ultima tragedia dei 300 migranti nel Canale di Sicilia ma per dire che non si tratta semplicemente di un problema di sicurezza nazionale italiana ma una questione vitale per la sicurezza di tutta l’Unione perché lì si stanno concentrando le più pericolose minacce del terrorismo islamico (la bandiera dell’Is sventola a Derna), la stabilità degli approvvigionamenti energetici (garantiti per ora solo dall’Eni, non si sa fino a quando) e il flusso di migranti in fuga da guerre e miseria.
Insomma, mentre Tsipras chiede tempo per far funzionare il suo programma economico e mentre la Merkel e Hollande (la Mogherini dov’era?) relazionano sugli sforzi delle ultime ore per l’accordo di Minsk sull’Ucraina, Renzi spiega ai suoi colleghi che il problema non è Mare Nostrum o Triton, mettere un milione in più o in meno nel pattugliamento, una nave militare o un elicottero in più ma aggredire alla radice quello che, dopo l’uscita di scena di Gheddafi nel 2011, rischia di trasformarsi in una minaccia per tutta la sponda Nord del Mediterraneo. Renzi sa perfettamente di parlare a capi di Stato e di Governo che sono nettamente contrari a un’operazione massiccia di Search&Rescue nel Mediterraneo perché, al di là dei costi, vi sarebbe il rischio di favorire i piani criminali degli scafisti per il “pull factor” (fattore di attrazione) rappresentato dalla sicurezza del salvataggio. Ma aggiunge anche che la stabilità della Libia è interesse di tutta l’Europa. Il lavoro dell’inviato dell’Onu Bernardino Leon con i negoziati a Ginevra prosegue ma finora senza apprezzabili risultati. È stato considerato già un successo che si siano riuniti mercoledì nella stessa città, Gadames, sia il Congresso di Tobruk che il Parlamento di Tripoli che non si riconoscono reciprocamente.
L’Italia, che resta l’unico Paese occidentale presente a Tripoli con un proprio ambasciatore (Giuseppe Buccino), saprà prendersi le proprie responsabilità. Su questo Renzi è stato chiaro ribadendo quanto già annunciato alcune settimane fa, ed ossia che il nostro Paese è pronto a guidare una forza internazionale di peace-keeping qualora le condizioni sul terreno lo consentiranno. Ma nessun risultato concreto è immaginabile in assenza di un Governo libico nella pienezza dei suoi poteri che possa cooperare con la sponda Nord del Mediterraneo. Purtroppo il recente attacco all’Hotel Corynthia da parte di milizie islamiste ha rappresentato uno spartiacque. Il Paese è prossimo al collasso economico, il cambio si è deprezzato ai livelli del 2011 e si stanno esaurendo anche le risorse di farina. Si diffondono i traffici illegali: armi, droga e migranti con fortissime complicità nelle milizie e corruzione generalizzata.
In attesa che la comunità internazionale comprenda la gravità della situazione, secondo Renzi c’è solo la possibilità, per ora, di rafforzare Triton perché «sarebbe sbagliato tornare indietro; con l’operazione Triton abbiamo chiesto all’Europa di non lasciarci soli rispetto a un problema che l’Italia non può affrontare da sola. Se questa missione per come è congegnata ha delle lacune, se deve essere rinforzata, questo è un lavoro che dobbiamo chiedere all’Europa».
Anche secondo il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, occorre investire di più nella lotta contro i trafficanti e rafforzare le leggi penali ma anche portare stabilità in Paesi «come la Libia». E il numero due della Commissione, Frans Timmermans, sollecita tutti gli Stati membri a «lavorare assieme alla Commissione per trovare soluzioni ampie che consentano di gestire meglio l’immigrazione». L’esecutivo Ue sta preparando una agenda europea sull’immigrazione e ne vuole fare una priorità. «Ma non possiamo farlo da soli. Se vogliamo migliorare seriamente la gestione dell’immigrazione serve più cooperazione, solidarietàe condivisione delle responsabilità a tutti i livelli».
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