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Riforme: primo ok senza le opposizioni

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Politica

Riforme: primo ok senza le opposizioni

ROMA - L’ultimo articolo è stato approvato poco prima delle 3 del mattino.Nell’aula semivuota per l’abbandono delle opposizioni (ci sono solo alcune “sentinelle”), rimbomba l’applauso dei deputati della maggioranza sfiniti dal tour de force delle ultime 48 ore. «Le riforme fanno bene all’Italia. E si lavora fino alle 3 di notte perché ogni giorno è prezioso», twitta un’esausta Maria Elena Boschi. Ma il via libera ai 40 articoli del ddl costituzionale, che abroga il bicameralismo perfetto, affidando alla sola Camera dei deputati il ruolo politico, a partire dalla fiducia al governo, e rivede i rapporti tra Stato e Regioni, rafforzando il potere centrale su settori strategici quali ad esempio le grandi infrastrutture (non solo materiali), passa quasi in secondo piano.

Non solo perché manca ancora l’approvazione definitiva, che, come già anticipato nei giorni scorsi dalla Capigruppo, arriverà la prima settimana di marzo (poi almeno altre tre letture), dando così la possibilità di rispettare i tempi per la conversione in legge del Milleproroghe. A rubare la scena ieri sono state le assenze perché, come ammette subito dopo il voto Ettore Rosato, vicepresidente vicario del Pd a Montecitorio, rappresentano «una ferita istituzionale» aperta e che il deputato dem si augura possa essere sanata. Lo ripeterà più tardi anche il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini: «Ad un certo punto viene il momento della responsabilità. Noi ieri sera ce la siamo assunta, ma non significa che vogliamo chiudere il confronto con tutti i partiti e i gruppi parlamentari».

Un ritorno alla normalità che al momento non sembra avere molte chance. Beppe Grillo invoca l’immediato ritorno al voto e torna a paventare le «dimissioni» di massa dei parlamentari pentastellati, per spingere il Capo dello Stato allo scioglimento delle Camere. «Siamo pronti a farlo», conferma Alessandro Di Battista, membro del direttorio del M5s che martedì salirà al Quirinale dove è attesa anche la delegazione di Sel.

A Sergio Mattarella guarda anche Fi che però non ha ancora formalizzato la richiesta. Ieri Renato Brunetta ha detto che presenteranno al Capo dello Stato «il manifesto per la difesa della Repubblica», contro quello che definisce un mostro «giuridico», ossia il binomio Italicum-riforma costituzionale. Ma per Fi è fondamentale anche marcare la differenza rispetto alle altre opposizioni. Anche perché sia l’Italicum che la riforma costituzionale sono in buona parte eredità degli accordi tra Berlusconi e Renzi, ovvero del de cuius Patto del Nazareno. Giovanni Toti, consigliere politico del Cavaliere, si mostra prudente auspicando che «quando si tornerà in Aula a parlare di riforme il Pd si svegli da questo sogno, anzi da quest'incubo di autoreferenzialità e arroganza».

Intanto i centristi rivendicano il loro ruolo essenziale nel via libera alle riforme. Angelino Alfano, leader di Ncd oggi Area popolare, auspica che «si possa riaprire il dialogo con Fi». Ma, allo stesso tempo, sottolinea che «le riforme approvate erano attese da 20 anni e sarebbe stato un grande errore consegnarle al voto della sola sinistra».

Al voto finale mancano ora due settimane.Nel Pd la minoranza continua a scalpitare anche se ieri il gruppo si è presentato compatto (non hanno partecipato al voto solo Civati e Fassina).

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