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Dossier Relazione Dna 2015: ancora poche le denunce

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Relazione Dna 2015: ancora poche le denunce

L'ultima relazione della Dna (Direzione nazionale antimafia) presentata il 24 febbraio a Roma dal capo della Procura Franco Roberti con il presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi, ha messo a nudo la carenza cronica di denunce contro i soprusi criminali.

Eppure, come ha più volte ricordato Confindustria e si legge anche on questa relazione, la legalità conviene.

In una recente indagine condotta dalla Dda di Perugia, è emersa l'esistenza di un forte e risalente insediamento di ‘ndrangheta proprio a Perugia, in collegamento con le cosche “Farao-Marincola “di Cirò e Cirò Marina.

Il collegamento appare comprovato, oltre che da intercettazioni telefoniche, anche da servizi di osservazione e pedinamento che hanno documentato i periodici incontri nel territorio perugino tra calabresi da tempo residenti in quel territorio e personaggi di spicco della ‘ndrangheta cirotana. Ebbene, scrive la Dna a pagina 645 della relazione, «le attività più evidentemente criminali poste in essere dal sodalizio (estorsioni, atti di intimidazione anche incendiari ai danni di esercenti di attività commerciali e produttive; traffico di stupefacenti, usura) sono state acclarate anche attraverso coraggiose denunce delle parti offese; l'efficace attività investigativa ha, invece, disvelato la strisciante infiltrazione economica, in particolare nel settore dell'edilizia, strumentale ad acquisire una “facciata pulita”. Molte delle attività economiche acquisite, dopo essere state spogliate di ogni utilità, venivano fraudolentemente condotte al fallimento.

L'impostazione accusatoria, condivisa appieno dal Gip, configura l'associazione mafiosa in questione non già come una articolazione periferica della ‘ndrangheta calabrese, ma come sodalizio autonomo, composto quasi esclusivamente da calabresi residenti in Umbria da oltre un decennio; con contatti e contiguità, anche di tipo familiare, con soggetti mafiosi della terra d'origine; operante autonomamente e in via esclusiva in Umbria».

La Dna fa un altro esempio che, questa volta, appare molto neutro e didascalico e parte dalla Sicilia. Nella provincia di Palermo, vale a dire nei mandamenti mafiosi di Belmonte Mezzagno (che comprendere le famiglie di Belmonte Mezzagno e Misilmeri), Bagheria (che comprende le famiglie di Bagheria, Villabate, Casteldaccia ed Altavilla Milicia), Corleone (che comprende le famiglie di Corleone, Prizzi e Ficuzza Marineo, Godrano, Palazzo Adriano e Roccamena, San Cipirrello) e di San Giuseppe Jato (che comprende le famiglie di Monreale, Altofonte e San Cipirrello), tra le attività criminali di Cosa nostra un cenno specifico merita il dato relativo alle estorsioni. «In particolare le stesse si mantengono su livelli costanti – si legge a pagina 51 – con contrazione degli atti intimidatori negli ultimi due anni ed è aumentato il numero delle denunce».

Ancora poco, troppo poco, se è vero che, come la Dna afferma in relazione alla provincia di Foggia, ma lo stesso discorso vale da Milano a Crotone, manca troppo spesso all'appello «la denuncia degli imprenditori vittime delle estorsioni». L'ultima denuncia, giunta proprio due giorni fa, del commerciante Santi Palazzolo contro la presunta estorsione a Palermo da parte del presidente della Camera di commercio di Palermo Roberto Helg, apre ancor più le porta alla speranza.

r.galullo@ilsole24ore.com

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