A vent’anni dalla Conferenza di Pechino, che sancì per la prima volta l’impegno di 189 Paesi Onu su una piattaforma globale per i diritti delle donne, la marcia per la parità sembra appena cominciata: ci vorranno ancora 81 anni per raggiungere la parità nella partecipazione al mercato del lavoro, più di 75 anni per ottenere retribuzioni uguali a parità di lavoro e circa 50 anni per la parità nella rappresentanza politica.
Nel frattempo la violenza, quella sì «pandemica», colpisce una donna o bambina su tre. Le stime arrivano da Un Women, alla vigilia della 59esima Commission on the Status of Women che da domani al 20 marzo richiamerà a New York folte delegazioni da tutto il mondo (sarà presente anche Lady Pesc, Federica Mogherini). Obiettivo: tracciare il bilancio di quanto è stato fatto e disegnare le linee d’azione future.
Dal 1995 i progressi sono stati lenti
Dal 1995 a oggi progressi ce ne sono stati, ma lenti. Parlano chiaro i numeri del rapporto targato Un Women da cui partirà il confronto nella Grande Mela e su cui si baserà la relazione d’apertura del segretario generale Onu Ban-Ki Moon: tra il 1992 e il 2012 il gender gap nella partecipazione al mondo del lavoro si è soltanto assottigliato, passando dal 28 al 26 per cento. Nel 2012 il tasso di partecipazione femminile era al 51%, quello maschile al 77 per cento. Le donne guadagnano tra il 10 e il 30% in meno rispetto agli uomini (secondo un confronto tra 83 Paesi). Ci sono soltanto 25 donne nella lista di aziende Fortune 500. Certamente più di quell’unica presente nel 1998, ma ancora un misero 5% del totale. Cifre che vanno lette in tandem con quelle sulla povertà. I dati di 29 Paesi di Africa, Asia e America Latina mostrano come soltanto il 33% delle donne tra i 15 e i 49 anni ha un reddito proprio, contro l’83% degli uomini.
La sottorappresentanza politica
Dolente anche il tasto della rappresentanza politica. Le donne sono appena il 22% in media nei Parlamenti nazionali, «un lento aumento» (parole dell’Onu) rispetto all’11,3% del 1995. Oggi 19 Paesi hanno donne capi di Stato o di governo; vent’anni prima erano 12. «La sottorappresentanza delle donne nei processi decisionali e le violenze contro il genere femminile sono fenomeni globali, un risultato del dominio maschile nel mondo che deve cambiare», ha commentato la direttrice esecutiva di Un Women, Phumzile Mlambo-Ngcuka, che non ha esitato a definire «un fallimento collettivo» l’attuazione deludente della Piattaforma di Pechino. «Entro il 2030 al più tardi - ha rilanciato, anche in vista dell’agenda di sviluppo post-2015 - vogliamo vivere in un mondo in cui almeno la metà di tutti i parlamentari, degli studenti universitari, degli amministratori delegati, dei dirigenti della società civile e di tutte le altre categorie, sono donne. Questo è vero progresso».
Il report italiano: lavoro femminile prima area critica
L’Italia è tra i 166 Stati che hanno inviato all’Onu il report nazionale sull’implementazione della Piattaforma di Pechino. Report che individua come priorità proprio il lavoro delle donne, forse il settore in cui il nostro Paese mostra le resistenze e le criticità maggiori. «Le barriere esistenti per le donne che provano a entrare nel mercato del lavoro - si legge nel rapporto, messo a punto dal Dipartimento pari opportunità della presidenza del Consiglio - costituiscono una forma di discriminazione che va eradicata. Allo stesso tempo è fondamentale affrontare le differenze esistenti, incluso il divario nelle retribuzioni tra donne e uomini». A rappresentare l’Italia a New York non andrà Matteo Renzi, che ha mantenuto per sé la delega alle Pari opportunità, ma la sua consigliera Giovanna Martelli. E l’11 marzo sarà presentata #cosedauomini (in inglese #thingsmendo), la web serie promossa dal Governo contro la violenza di genere. In linea con lo sforzo che l’Onu sta compiendo con la campagna HeForShe, di cui è ambasciatrice Emma Watson: parlare agli uomini.
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