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Mutui, con la deflazione costano 7 volte di più. Ma con il…

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Mutui, con la deflazione costano 7 volte di più. Ma con il «Qe»... la rata va giù

La nuova stagione dei tassi a zero abbraccia anche il mercato dei mutui. Molto semplicemente, perché i prestiti per l'acquisto di un'abitazione o i prestiti a nuove condizioni per migliorare prestiti precedentemente sottoscritti (la cosiddetta surroga) non sono scollegati dal resto dal mondo, dalle politiche della Banca centrale europea, dall'andamento dell'inflazione, dal rendimento dei titoli di Stato. Per quanto alcune variabili possano apparire a una prima occhiata distanti, fanno parte tutte della stessa storia.

E quando si muove qualcosa, tutto si riorienta. Prendiamo i tassi dei mutui: non sono stabiliti unicamente dalla banca in base alle proprie politiche commerciali ma risentono dei tassi di interesse del settore interbancario in Europa. Ad esempio, il tasso di interesse di un mutuo variabile si ottiene sommando lo spread (la percentuale stabilita dalla banca in base alle sue politiche di marketing e al margine che si aspetta di ricavare vendendo mutui) al tasso Euribor.

Di cosa si tratta? È un tasso che sintetizza la media dei tassi a cui un certo numero di banche prevalentemente europee dichiarano di prestarsi soldi fra loro. L'Euribor è uno dei tassi che esprimono quanto costa il denaro all'ingrosso, cioè tra le banche, prima che queste, aggiungendo lo spread appunto, trasformino il tasso pronto per il mercato del dettaglio (mutui e prestiti alle famiglie). Nell'offerta di mutui a tasso variabile c'è anche la possibilità di chiedere che il tasso all'ingrosso non sia l'Euribor ma il tasso della Bce, il tasso all'ingrosso per eccellenza: stabilito dalla Bce stessa e che rappresenta il costo che le singole banche devono sostenere per chiedere soldi in prestito direttamente all'istituto di Francoforte. A differenza degli indici Euribor (ce ne sono vari in base alle scadenze, che oscillano da 1 settimana a 12 mesi ma le banche per i mutui utilizzano prevalentemente l'Euribor a 1 e 3 mesi) che cambiano ogni giorno, il tasso Bce non cambia finché è la stessa Bce a decidere il contrario. L'ultima volta che è stato variato risale all'ottobre del 2014 quando il direttivo presieduto dal governatore Mario Draghi ha ridotto questo tasso dallo 0,15% allo 0,05%. Mai così in basso.

Ma come dicevamo all'inizio, tutto è collegato: perché anche gli altri indici del mercato all'ingrosso sono allineati. L'Euribor a 3 mesi (che 12 mesi fa era allo 0,5% e nel 2008 al 5%) è a quota 0,08% mentre l'Euribor a 1 mese è allo 0,006% e a gennaio è scivolato per qualche seduta addirittura sottozero. Questo cosa comporta? Che chi ha chiesto negli ultimi anni un mutuo a tasso variabile ha visto crollare le rate perché tanto gli Euribor quanto il tasso Bce sono crollati a 0. E comporta anche che i tassi nominali dei nuovi mutui a tasso variabile, adesso che le banche stanno tornando a ridurre gli spread, sono diventati decisamente bassi. Tra le migliori offerte, infatti, si può accedere a un mutuo variabile con tasso finito dell'1,65%, mai così in basso.

E i mutui a tasso fisso? Anche su questo fronte la stagione dei tassi a zero sta segnando nuovi record. In questo caso il tasso finale si ottiene sommando lo spread stabilito dalla banca a un altro indice. Nome in codice Eurirs oppure conosciuto come Irs. Irs sta per Interest rate swap. Cosa è? È un altro indicatore di quanto costa il denaro ma, a differenza degli indici Euribor (che arrivano fino a scadenze di 12 mesi) è proiettato sul lungo periodo. Sul mercato interbancario ci sono vari Irs, a seconda della durata del mutuo: vanno da 1 a 50 anni.

Quando la banca vende un mutuo a tasso fisso stipula un contratto di copertura sul denaro prestato (una sorta di assicurazione) il cui costo è rappresentato dall'indice Irs della durata relativa. Ecco perché nel tasso finale del mutuo la banca aggiunge al costo sostenuto (Irs) uno spread per ricavare un margine dalla vendita del prodotto. A differenza del mutuo variabile le rate del mutuo a tasso fisso rimarranno sempre identiche alla prima perché l'Irs (pur variando nel tempo come l'Euribor) del contratto viene fissato nel giorno della stipula. Dopodiché anche se l'Irs dovesse aumentare al mutuatario e alla banca non interessa più. Così come per l'Euribor anche l'Irs è ai minimi di tutti i tempi. L'Irs a 20 anni (utilizzato come parametro per un mutuo a 20 anni appunto) è allo 0,8%. Quello a 25 anni allo 0,9% e via dicendo. Un abisso rispetto a soli pochi anni fa quando l'Irs a 20 anni era l 4%. Perché l'Irs è crollato? Perché la stagione dei tassi a 0 forse non è solo una stagione ma potrebbe essere un po' più lunga e ne consegue che anche il costo del denaro nel medio-lungo periodo oggi è crollato. Lo dimostrano anche i rendimenti dei titoli di Stato del Paese considerato più affidabile dell'Eurozona, ovvero la Germania, i Bund. Per durate fino a 7 anni (si veda articolo a destra) i tassi delle obbligazioni statali tedesche sono sottozero (in pratica l'investitore paga qualcosa allo Stato tedesco pur di acquistare i suoi titoli).

In uno scenario del genere è ovvio che anche il costo del denaro nel lungo periodo in termini generali dell'Eurozona (sintetizzato dagli indici Eurirs) sia ai minimi storici. Ne consegue che oggi stipulare un mutuo a tasso fisso risulta in partenza più caro circa il doppio del tasso variabile ma comunque mai così “conveniente”. Nelle offerte più aggressive le banche offrono un tasso fisso finale del 3%. Siamo lontanissimi dagli anni '80 quando i mutui costavano il 18%. Questo si tende a dire, nell'immaginario collettivo. Ma siamo davvero così lontani? In realtà non poi così tanto. Cosa hanno in comune la stagione dei tassi alle stelle (quando appunto i mutui costavano il 18%-20%) e la stagione dei tasso a zero (quando i mutui costano tra l'1 al 3% a seconda dell'opzione fisso o variabile)? Il tasso reale è più o meno lo stesso, anzi per certi verso è più caro adesso, quando a una prima occhiata sembra che i mutui non siano mai stati così scontati.

Il tasso reale si ottiene sottraendo al tasso nominale del mutuo il tasso di inflazione. Nel 1980 l'inflazione in Italia toccò un picco al 21,2% (nel 1983 scese al 14,7% e nel 1987 al 4,7%). Se un mutuo costava il 18%-20% era del tutto normale per quella stagione, visto che depurando il tasso nominale per l'inflazione si otteneva un tasso reale bassissimo o addirittura negativo (nel qual caso il mutuatario finiva anche per “guadagnarci”). E oggi? Stando all'ultimo bollettino dell'Abi a gennaio 2015 il tasso medio dei mutui stipulati in Italia si attestava al 2,9%, la metà del 2007 quando era al 5,7%. Oggi però non c'è più l'inflazione (che, lo si è capito, avvantaggia i debitori e quindi anche i mutuatari) ma l'Italia è in deflazione (cioè i prezzi sono diminuiti dello 0,6% a gennaio su base annua). Quindi il costo reale del mutuo stipulato oggi è del 3,5% (2,9% di tasso + 0,6% di deflazione).

A giugno 2011 (prima che scoppiasse la crisi in Italia) un mutuo costava in media il 3,2% ma l'inflazione era del 2,7% quindi il costo reale del mutuo si attestava allo 0,5%, sette volte in meno quello attuale. Questo cosa significa? Che oggi i mutui non costano meno che in passato (anzi anche di più) ma potrebbero costare molto meno se il tasso di inflazione dovesse riportarsi intorno al 2%, come nell'intento delle ultime politiche varate dalla Bce. Quindi, chi stipula un mutuo oggi fissa dei tassi nominali ai minimi storici ma dei tassi reali più cari di sette volte il periodo pre-crisi. Scommettendo che se l'economia e l'inflazione ripartano il costo effettivo del mutuo possa normalizzarsi e tornare ai livelli pre-crisi.

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