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Incalza, per 14 anni il ministro ombra delle Infrastrutture

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il riratto

Incalza, per 14 anni il ministro ombra delle Infrastrutture

Ercole Incalza è stato davvero “ministro ombra delle grandi opere” e “hard disk del ministero delle Infrastrutture”, come raccontano due dei tanti soprannomi che gli sono stati affibbiati da quando calca la scena pubblica. Incalza è stato uno di quei dirigenti pubblici che ha guidato la politica più che farsene guidare.

Per fortuna, si potrebbe dire, perché aveva più competenza e autorevolezza dei ministri che serviva. A partire da quel Claudio Signorile con cui Incalza, nel 1988, lanciò il Piano generale dei Trasporti, un documento che scrisse di prima mano con Gianfranco Legitimo e che era talmente all’avanguardia allora da costituire poi una Bibbia in materia di infrastrutture e trasporti almeno per i successivi 25 anni. Lungimiranza, capacità di visione a 360 gradi, attenzione alla questione infrastrutturale (le cartine di Silvio Berlusconi a “Porta a porta” arriveranno solo 13 anni dopo ma saranno più o meno quelle) erano gli ingredienti del successo di quel lavoro, come pure era presente in quel lavoro il limite che sempre sarà poi rimproverato a Incalza (anche da questo giornale): l’approccio “faraonico” alla pianificazione, con l’inclusione di centinaia di opere e fabbisogni finanziari ultramiliardari.

La carriera di Ercole Incalza era iniziata negli anni ’70 alla Cassa per il Mezzogiorno, della quale era diventato dirigente nel 1978, assumendo poi nel marzo 1980 la responsabilità del Progetto Speciale dell’Area Metropolitana di Palermo. Dopo l’esperienza alla segreteria generale del Piano generale dei trasporti con Signorile, cui lo legava un rapporto “organico” di militanza socialista, Incalza approda alle Fs di Lorenzo Necci e nel settembre 1991 diventa amministratore delegato della Treno Alta velocità Tav Spa, incarico che manterrà fino al novembre 1996. Incalza in quel periodo è il braccio operativo di Necci e condivide con lui anche le decisioni molto discusse e al limite della legittimità, come quella di affidare le opere della Milano-Napoli a tre general contractor guidati da Eni, Enel e Ferrovie senza gara. Siamo alla vigilia dell’entrata in vigore delle direttive Ue in materia di appalti (gennaio 1992) che prevedono gare per tutte le opere e questa tempestività sospetta salva formalmente gli appalti della Tav da ricorsi e inchieste che seguiranno.

L’affidamento a trattativa privata di quei contratti miliardari avallato anche dall’Antitrust e dal Consiglio di Stato sarà l’ombra più grave degli appalti Tav del duo Necci-Incalza, con tutto quel che consegue in termini di ricontrattazione di costi in favore dei contractors nel tempo e di affidamento non proprio trasparente dei subappalti. Resta il fatto che Incalza porta fuori l’opera dalle secche iniziali e riesce a farla decollare, grazie soprattutto a una generosa politica degli espropri (pagati numerose volte il minimo di legge) e di compensazioni agli enti locali per ottenerne il via libera ai progetti. La Tav Torino-Milano-Napoli si realizzerà così senza le contestazioni che toccheranno poi alla Torino-Lione.

Incalza lascia però la Torino-Napoli in mezzo al guado soprattutto per la lievitazione dei costi e il fallimento del meccanismo finanziario che da misto pubblico-privato diventa tutto pubblico. Sarà poi Mauro Moretti a rilanciare il progetto della Tav Torino-Napoli, come amministratore delegato di Rfi, rimettendo a posto tempi e costi e superando la separazione fra le due reti Av e tradizionale. Lo stesso Moretti lo porterà al traguardo inaugurando poi da amministratore delegato delle Fs i Frecciarossa.

Nel 1998 Incalza finisce ai domiciliari insieme all’ex presidente di Italferr Maraini proprio nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti della Tav. È una delle 14 inchieste in cui Incalza è stato coinvolto, uscendone sempre indenne. A conferma, comunque, che occuparsi di opere pubbliche in Italia è un mestiere molto pericoloso. Certo Incalza viveva questo mestiere da una posizione di privilegio: se per molti attori di questo processo si può invocare l’attenuante del grande groviglio di norme che non di rado produce paralisi, Incalza per anni le leggi le ha scritte, così come quei Depf infrastrutture che costituivano una base per le leggi finanziarie.

Incalza torna sulla scena ministeriale con la legge obiettivo di Silvio Berlusconi e Pietro Lunardi. Nel 2001 viene nominato a capo della segreteria tecnica del ministro delle Infrastrutture, per poi passare (nel 2008 nominato da Altero Matteoli) a capo della struttura di missione, il “cervello” e “cuore” della poderosa macchina miliardaria chiamata ad attuare la legge obiettivo. Da lì passa l’aggiornamento della programmazione (cosa sta dentro e cosa fuori), l’istruttoria dei progetti che vanno al Cipe, la distribuzione delle risorse disponibili, il monitoraggio degli interventi. Incalza resterà al ministero delle Infrastrutture per 14 anni, uscendone solo a fine 2014: pochi i dossier ministeriali da cui resta fuori, ben oltre il suo ruolo formale. Soltanto Antonio Di Pietro, nella parentesi del Governo Prodi, lo allontanerà dal suo incarico. Tornerà al ministero con Matteoli, poi riconfermato da Corrado Passera (governo Monti) e da Maurizio Lupi (governo Letta e poi Renzi). In una intercettazione raccolta dalla procura di Firenze, Lupi assicura Incalza che difenderà la struttura di missione a costo di scatenare una crisi di governo. Segno che anche dentro il governo attuale - qualcuno dice anche a Palazzo Chigi - non pochi vedevano Incalza come una politica da archiviare. A fine dicembre Incalza ha lasciato, la struttura di missione è rimasta, affidata temporaneamente a Paolo Emilio Signorini, il dirigente che già una volta era stato l’alternativa a Incalza, chiamato da Di Pietro a prenderne il posto.