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Quella tensione sulle grandi opere

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visioni differenti

Quella tensione sulle grandi opere

Nell’intercettazione del 16 dicembre 2014, il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, parla con Ercole Incalza e lo rassicura: «Ti garantisco che se viene abolita la struttura di missione, cade il governo». Alla fine, l’emendamento che voleva abolire la struttura di missione oppure spostarla a Palazzo Chigi non passa.

In ballo non c’era tanto la posizione di Incalza, che già da settembre aveva detto al ministro di voler «naturalmente» lasciare tutti gli incarichi per andare in pensione a fine anno, quanto la politica delle grandi opere che Incalza considerava un po’ la sua creatura. Sullo sfondo è evidente una tensione tra Porta Pia e Palazzo Chigi che andava avanti da almeno sei mesi. Il momento di maggiore tensione c’era stato con la messa a punto del decreto sblocca-Italia che nell’idea di Matteo Renzi doveva essere una rivoluzione della politica infrastrutturale e si era tradotto, invece, in un elemento di continuità intestato più a Lupi che a Renzi. Non è un caso che, dopo aver bombardato mediaticamente per un’intera estate con lo sblocca-Italia, il premier avesse smesso di colpo di parlarne dopo l’approvazione del 29 agosto. Già dall’inizio dei lavori, fra i collaboratori di Renzi che a Palazzo Chigi buttavano giù le prime bozze del decreto, si diceva che «il problema delle infrastrutture in Italia si chiama Ercole Incalza e un forte ricambio al ministero delle Infrastrutture». La squadra del premier non poteva sopportare la continuità di uomini per 14 anni al ministero di Porta Pia, a difesa di una politica “vecchia” elaborata da Silvio Berlusconi a inizio secolo. Ma anche nel merito delle scelte era la stessa dottrina renziana a reclamare meno grandi opere e doppia priorità per il piano di manutenzione del territorio contro il dissesto idrogeologico e per le piccole opere dell’edilizia scolastica: con il consueto stile, Renzi non l’aveva mandata a dire e si era costruito due strutture di missione in casa, a Palazzo Chigi. Avrebbe voluto prendersi anche la struttura di missione della legge obiettivo per ribaltare come un guanto il relativo programma.

Lupi ha difeso invece lo sblocca-Italia e certe idee provenienti dallo stesso Incalza, come rilanciare la faraonica autostrada Orte-Mestre, su cui Vito Bonsignore, finito anche lui nell’inchiesta di Firenze, aveva un diritto di prelazione in quanto promotore. Anche sulla Orte-Mestre c’è stato uno scontro con Palazzo Chigi che ha ben presto capito che la via del rinnovamento non passava per i numerini faraonici delle grandi opere da sbloccare. «Non c’è dubbio - dice Ermete Realacci, renziano della prima ora e presidente pd della commissione Ambiente della Camera - che lo sblocca-Italia sia stata un’occasione per una politica infrastrutturale più equilibrata, con meno grandi opere e più attenzione alla manutenzione, al risparmio energetico, alle opere sostenibili. Non mi pare Palazzo Chigi sia soddisfatto del risultato finale, ma non per questo ci si rassegna. Una discontinuità è necessaria».