
Un imprenditore edile di San Cipriano di Aversa (Caserta), Raffaele Cilindro, 50 anni, è destinatario di una misura cautelare notificata dal Ros dei carabinieri di Caserta per aver favorito la latitanza del boss del casalesi Michele Zagaria. L'indagine, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha portato anche all'esecuzione di un provvedimento di sequestro per 1,5 milioni.
Cilindro è accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Per i militari dell'Arma avrebbe finanziato i casalesi periodicamente versando somme di denaro, avrebbe mantenuto contatti tra gli affiliati, avrebbe fatto da autista al fratello del boss, Pasquale Zagaria, per accompagnarlo a summit di camorra e avrebbe ospitato a casa sua il superlatitante capoclan Michele. Il nome di Cilindro spunta, proprio per questo suo presunto compito di intermediario tra il vertice della cosca e gli altri affiliati, anche in una intercettazione sulle infiltrazioni dei casalesi negli appalti per la ricostruzione dell'Aquila.
L'indagine si basa su dichiarazioni di due recenti collaboratori di giustizia, Attilio Pellegrino, che nel 2010 teneva la cassa del clan, e Massimiliano Caterino, uomo di fiducia di Michele Zagaria incaricato di tenere i rapporti con gli imprenditori di Casapesenna; a queste fanno da riscontro intercettazioni telefoniche e ambientali e osservazioni dei Ros.
Nell'ultima relazione della Dna, presentata il 24 febbraio dal capo della Procura Franco Roberti, si legge chiaro e tondo che la ricostruzione privata all'Aquila è presa d'assalto dalle organizzazioni mafiose.
Ferme le commesse pubbliche, le infiltrazioni sono tra gli appalti milionari delle abitazioni e la Dda ha già scoperto lo scorso anno con una accurata indagine il trucco della “delega”: le imprese che si sono aggiudicati i lavori, che non avrebbero potuto eseguirli a causa delle loro modeste potenzialità, avevano sostanzialmente “delegato” i lavori ad una ditta che reclutava le maestranze nel casertano e, forti della vicinanza con esponenti del clan Zagaria, sfruttavano e vessavano i lavoratori imponendo loro la restituzione di parte del salario che figurava invece regolarmente versato in base alle “buste-paga” emesse dalle imprese aquilane. Queste ultime percepivano, senza svolgere alcuna attività, una congrua percentuale del valore della commessa.
A questa indagine della Dda si affianca quella relativa ad altro procedimento trattato nel 2012, che aveva evidenziato l'acquisto di quote di una società aquilana interessata alla ricostruzione privata da parte di soggetti contigui alla cosca Caridi Zincato di Reggio Calabria, che mirava così ad inserirsi nel business.
Ciò che inquieta – come ha sottolineato il Procuratore dell'Aquila di fronte alla Commissione parlamentare antimafia – è la considerazione che simili sistemi, o altri più sofisticati, possono essere agevolmente replicati sul territorio, in assenza di ogni possibilità di controllo. Tutto il settore della ricostruzione privata (per la quale solo la delibera Cipe di agosto 2014 ha stanziato circa 500 milioni) non è presidiato da alcun efficiente meccanismo istituzionale ed è, di fatto, completamente sconosciuto.
Ed infatti né gli enti locali (comune dell'Aquila e comuni del cratere), né i 2 uffici per la ricostruzione sono attrezzati, denuncia la relazione Dna, per controllare il numero di affidamenti ricevuti da una ditta, la sua idoneità tecnica in relazione all'entità complessiva delle commesse, né si rileva un metodo attraverso cui l'amministrazione comunale possa imporre all'appaltatore di precisare quali quote di lavori subappalterà e a quali ditte.
Dunque mentre il cosiddetto “sistema l'Aquila” disegnato dalle linee guida del Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere del Viminale, ha assicurato per la ricostruzione pubblica un elevato standard di controlli, il settore della ricostruzione privata evidenzia importanti criticità.
Queste considerazioni inducono la Dna a suggerire la necessità di introdurre specifiche previsioni legislative tese a rafforzare i controlli sul settore, anche in considerazione del fatto che, in un momento caratterizzato da una forte contrazione economica, il business della ricostruzione privata appare tra i più appetibili per le organizzazioni criminali.
La Prefettura dell'Aquila nel periodo luglio 2013/ottobre 2014 ha individuato e interdetto 9 imprese contigue alla criminalità organizzata: due impegnate nella “ricostruzione pubblica” e sette in quella “privata”.
Dall'inizio del processo di ricostruzione sono stati 37 gli operatori economici interdetti in quanto collusi o oggetto di ingerenze mafiose: di essi, 28 impegnati nella ricostruzione pubblica e 9 negli interventi affidati dai soggetti privati con l'impiego di contributi statali.
Tra le ditte interdette 11 hanno sede nel nord Italia, 19 nel centro (di cui 12 a L'Aquila) e 7 nel sud. La dislocazione mette in evidenza il fenomeno delle migrazioni verso l'Abruzzo di imprese a partecipazione criminale, ovvero delle interferenze mafiose nel capitale sociale di ditte soprattutto aquilane, apparentemente sane, in cui subentrano esponenti criminali interessati ad inserirsi nel business della ricostruzione.
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