In attesa delle decisioni del “resistente” Maurizio Lupi, che domani dovrebbe riferire alla Camera con un’informativa in Aula, a Palazzo Chigi già si ragiona sul dopo. È di ieri la notizia che il premier Matteo Renzi sta studiando con i suoi l’ipotesi di dividere in due il ministero ricoperto (per ora) da Lupi: uno per Trasporti e porti, un altro per Infrastrutture, lavori pubblici e casa. Anche questo fa parte del pressing sul ministro centrista affinché lasci presto, prima che il Senato sia chiamato a votare la mozione di sfiducia personale presentata dal Movimento 5 stelle e da Sel (nel Pd c’è preoccupazione sulla tenuta del partito al momento dell’eventuale voto). Pressing su Lupi, ma anche messaggio al partito di Angelino Alfano - anche lui impegnato nell’opera di moral suasion nei confronti del suo ministro per evitare uno scontro diretto che porterebbe a una crisi di governo alla vigilia delle elezioni regionali - in vista del rimpasto che seguirà: i ministri diventano due insomma. Va da sé che quello più importante, le Infrastrutture, andrebbe al Pd. Ma il Nuovo centrodestra manterrebbe comunque i Trasporti.
Il pressing su Lupi continua, dunque, e non solo da parte del premier. La freddezza tra Renzi e Lupi è conclamata. Al punto che - in una giornata in cui i due non si sono neanche sentiti al telefono, tanto la posizione del premier sulla necessità di un passo indietro è stata chiara nell’incontro di martedì sera - arrivando alla Camera per l’informativa sul Consiglio Ue il premier evita l’ingresso in Aula dalla porta da cui Lupi sta uscendo dopo essersi difeso un’ora nel question time. Nessuna copertura da parte di Palazzo Chigi, come invece lascia capire l’interessato quando dice «il governo con me». Gli stessi dirigenti del Ncd, che non possono non fare quadrato sul loro rappresentante di spicco al governo, si rendono conto della difficoltà del caso. E qualcuno, di fronte ai particolari delle nuove intercettazioni, ammette che «così è difficile tenere botta». E il segno che attorno a Lupi si sta facendo il vuoto è anche il cambio di passo del Pd, inizialmente tranquillo sulla questione anche nella sua ala di sinistra. Perché ieri a parlare della necessità che Lupi riferisca subito in Aula non era Pippo Civati bensì Lorenzo Guerini, numero due del Pd e braccio destro e sinistro del premier: «Sicuramente il Parlamento è interessato a capire, è giusto che Lupi spieghi la situazione che si é venuta a creare. Vedremo, vedremo nelle prossime ore», dice Guerini: perché per Lupi, appunto è solo questione di ore, pensano ai piani alti del Nazareno. E anche il capogruppo in Senato Luigi Zanda, che pur nelle sue posizioni autonome non si può certo ascrivere alla minoranza bersaniana del Pd, dà il “la” di prima mattina con un’intervista al Messaggero in cui sostiene che «la politica ha le sue regole: a volte, per le dimissioni, è sufficiente una responsabilità oggettiva». Insomma, a volte è opportuno farsi da parte anche se non si è indagati.
Se Lupi ha deciso di intraprendere la strada della trasparenza affrontando l’informativa in Parlamento poco cambia, dunque. La strada sembra ormai segnata, e prima di arrivare a una pericolosa conta nell’Aula di Palazzo Madama dove i numeri sono notoriamente risicati e Lupi potrebbe essere salvato dai suoi ex compagni di partito di Forza Italia. Renzi non vuole, difendendo la permanenza del ministro, creare una macchia sul governo su un tema così delicato e sentito come la corruzione e le tangenti; per di più con Beppe Grillo scatenato in campagna elettorale («altro che scatola di tonno... il Parlamento è una tonnara», tuonava ieri sul suo blog). «Non ho intenzione di affrontare l’Expo con la stampa italiana e straniera che mi incalza», è la linea del premier. L’Expo di Milano alle porte deve essere una vetrina dell’Italia che finalmente riparte, e non l’immagine dell’Italia con i soliti vizi.
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