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Europa, per colmare il deficit democratico perché non…

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la recensione

Europa, per colmare il deficit democratico perché non ri-legittimare l'euro?

In un'Europa (meglio: in un'Eurozona) la cui costruzione mostra evidenti le crepe di un deficit democratico, s'aggira un nuovo fantasma. Perché passata la fase dell'esordio entusiastico, la domanda circola: non è che il famoso Quantitative easing della Bce finisce per far passare l'idea, in tanti governi, che le riforme possono essere accantonate e che si può, di fatto, tornare a fare un po' di debiti per agguantare una crescita più rapida?

L'insistenza con cui Mario Draghi richiama con sempre maggiore frequenza all'esigenza delle riforme è un segnale. Pochi si erano accorti che a inizio febbraio la Bce, in un inedito derby con la Commissione Europea, già sottolineava i “rischi di incoerenza” delle nuove linee flessibili impostate da Bruxelles che “potrebbero compromettere la finalità del braccio preventivo del Patto di Stabilità, ossia la costituzione di riserve nei periodi di congiuntura favorevoli”. “Il rispetto della regola del debito è requisito vincolante”, concludeva Francoforte.

Domanda per domanda, possiamo ora aggiungerne un'altra, diciamo così, di fondo: e se, “norme europee alla mano, il Patto di Stabilità e i successivi, e peggiorativi, aggiustamenti, quali il Two Pact, Sixt Pact e Fiscal Compact” si dimostrassero “di fatto illegittimi”?
Piaccia o no la provocazione, il caso è affrontato, anche attraverso una puntuale ricostruzione storica, in un libro in uscita nei prossimi giorni (“Non chiamatelo Euro- Germania, Italia e la vera storia di una moneta illegittima”, collana Oscar Mondadori editore) di Angelo Polimeno, giornalista del TG1. Al centro del libro le tesi del professor Giuseppe Guarino, il suo “Saggio di verità sull'Europa e sull'euro” (disponibile sul sito www.giuseppeguarino.it e pubblicato anche da “Il Foglio”) e il destino di questo “j'accuse”, in punta di diritto e non solo, sul quale fin qui non si sono accese le luci di un confronto nel merito dei problemi sollevati.

Ora, né l'autore del volume né Guarino (classe 1922, ex ministro, per vent'anni sindaco di Bankitalia, luminare del diritto che ha avuto come allievi Giorgio Napolitano e Mario Draghi) sono euroscettici. Al contrario. Ma stanno in quella posizione di mezzo (né uscita dall'euro e ritorno alla lira, né euro-entusiasmo cieco) che consente una vista migliore sulla storia, passata e recente, fino al Fiscal Compact, della governance dell'eurozona.
Il risultato è a suo modo esplosivo. Nel senso che viene ricostruito il momento in cui nasce (1997) il Patto di Stabilità a cinque anni dal Trattato di Maastricht (1992). Un Patto sotto forma di regolamenti del Consiglio europeo e con carattere essenzialmente preventivo (con un sistema di allarme fondato sulla sorveglianza dei bilanci dei Paesi membri dell'eurozona), e con effetti dissuasivi.

Due caratteristiche estranee al Trattato di Maastricht e sarebbe stato logico, ma politicamente difficile da far digerire a livello dei singoli Stati, procedere ad un nuovo Trattato. Così passa la soluzione proposta da Berlino: vengono approvati due regolamenti sotto forma di protocollo aggiuntivo al Trattato di Maastricht che non necessitano di ratifica dei parlamenti nazionali. In silenzio, il nuovo Patto (e in seguito i suoi figli e nipoti) sottrae agli Stati membri la piena autonomia nelle scelte di politica economica. Un “un singolare colpo di Stato” lo definisce Polimeno, le cui conseguenze – si vedano gli effetti dell'austerity senza se e senza ma- raggiungono i giorni attuali.

Solo una dotta provocazione? Per il grande e trasversale partito del silenzio su questi temi, sì. Ma questo libro offre un contributo di conoscenza nuovo, perché vengono ascoltati molti e autorevoli protagonisti di quel passaggio (come l'ex ministro Vincenzo Visco, l'ambasciatore Rocco Cangelosi, l'ex parlamentare europeo e poi ministro Mario Mauro, ma non Romano Prodi, che non ha voluto commentare) che in buona sostanza confermano – al minimo- che la materia è meritevole di un confronto serio e –al massimo- che ha ragione Guarino.

Di sicuro fin qui non ha brillato la classe politica in genere, tra euro-entusiasmo, lacrime di coccodrillo per l'austerity e demagogici ordini e contrordini. Si può essere d'accordo o no, ma la questione (non si discute oggi come mai prima di deficit democratico?) meriterebbe una svolta nel suo approccio. Paolo Peluffo, stretto collaboratore di Carlo Azeglio Ciampi, ha ricordato che il Trattato di Maastricht e il Patto di Stabilità hanno “origini e filosofie differenti”, il primo keynesiano, il secondo antikeynesiano, e che quando il Nobel Franco Modigliani venne a conoscenza del Patto gridò “Questi sono pazzi!”.

Oggi, un altro Nobel, Joseph Stiglitz, sostiene che nell'idea che sta dietro al Fiscal Compact (per la quale i problemi si risolvono se i paesi mantengono un basso rapporto tra deficit e debito pubblico e Pil), “non c'è nulla nella teoria economica che offra un sostegno ai criteri di convergenza”. E la postfazione del libro “Non chiamatelo Euro” è firmata da James K. Galbraith, autorevole economista americano e già membro dello staff del Congresso Usa come direttore esecutivo del Joint Economic Committee. Galbraith definisce le tesi di Guarino – per le quali l'Europa stessa viola la legislazione comunitaria- “sconvolgenti” e scrive che l'euro “non è la moneta auspicata dai Trattati”.

Di conseguenza, bisognerebbe riconfigurare l'euro e, come suggerisce Guarino, reintrodurlo sconfessando il “golpe” del 1997 e riallineandolo al Trattato. Dovrebbero cominciare a proporlo l'Italia, la Spagna, la Grecia e il Portogallo “seguiti, quando sarà il tempo, dalla Francia”. E' una proposta sconvolgente, conclude l'economista, “ma porta con sé il vento della necessità e il supporto di un'argomentazione che suona sgradevole come la verità”. Se le parole sono forti, la fattibilità di un piano del genere lo è molto meno. Ma è sempre meglio un confronto trasparente, e anche duro nel merito, che il muro di gomma del partito trasversale del silenzio.

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