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Fondazioni pronte a entrare nelle nuove Spa

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Fondazioni pronte a entrare nelle nuove Spa

  • –Marco Ferrando

Due riforme parallele, un solo risultato: le Fondazioni costrette a diversificare si preparano a entrare, in alcuni casi anche pesantemente, nelle popolari costrette a trasformarsi in Spa. Facendo, in pratica, di necessità virtù con i milioni di euro che si preparano a incassare dalla cessione sul mercato delle quote nelle conferitarie che eccedono il 33% del proprio patrimonio.

L’assist arriva dalla politica. E non può trattarsi di una combinazione, perché il Governo Renzi - non insensibile alle istanze europee - ha deciso di scuotere l’albero del credito italiano tutto insieme, dalle banche popolari alle Bcc, passando per le Fondazioni e (magari) su un’operazione incentrata sulle sofferenze. Con il risultato di rimescolare pesantemente le carte in un mondo abituato da tempo a convivere con gli stessi equilibri.

In alcuni casi, le Fondazioni sono già presenti nel capitale delle popolari. Più per caso che per scelta, come ad esempio la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, oggi primo socio italiano di Ubi con il 2,27% dopo essere entrato nella super popolare attraverso la Bre, la Banca regionale europea; o la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, primo azionista del Banco con il 2,89% dopo la fusione del Credito Bergamasco nel gruppo guidato dal tandem Fratta Pasini-Saviotti. Spulciando i verbali delle assemblee, poi, si scopre che sempre nel Banco c’è ad esempio la Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi (un anno fa si è presentata lo 0,95%), così come la Fondazione Manodori (0,27%). Nella Banca Popolare di Milano, invece, che negli anni scorsi ha incorporato la Cassa di Risparmio di Alessandria, resiste con una quota dello 0,36% la Fondazione alessandrina.

Presenze occasionali, finora. Che però domani potrebbero diventare strategiche: è interesse da parte delle Fondazioni, in cerca di asset a forte rilevanza territoriale in cui diversificare, e può esserlo anche delle popolari, in molti casi impegnate a costruire zoccoli duri di soci “fidati” con cui proteggersi da eventuali assalti provenienti da chi potrebbe aspettare la caduta del voto capitario per tentare la scalata di alcune banche finora rimaste fuori dai radar proprio perché popolari.

È in questo contesto che devono leggersi i contatti, per ora informali, tra i vertici delle popolari, le Fondazioni, i soci privati già oggi presenti nel capitale delle banche con quote significative. Tra i pochi a uscire allo scoperto, per ora, è stato il presidente della Fondazione Cariverona, Paolo Biasi: l’ente che presiede dovrà disfarsi di (almeno) un terzo del suo 3,5% di UniCredit, che pesa per il 50% sul patrimonio e il Banco Popolare è in cima alle preferenze dell’ente. «Se il Banco chiama, la Fondazione esamina», ha detto a fine febbraio Biasi. Che, superato l’imminente rinnovo del board UniCredit (dove la Fondazione punta a far valere tutta la sua quota) potrebbe iniziare a vendere per comprare il Banco, e diventare capofila di un nucleo forte di soci che sarebbe senz’altro allargato ad alcuni storici azionisti veronesi (imprenditori come Bauli, Rana, i Veronesi di Calzedonia e del pollo Aia, più assicurazioni Cattolica) e non solo. Sì, perché se con i lucchesi i rapporti sono buoni, c’è chi pensa a smuovere anche la componente lodigiana e soprattutto novarese: obiettivo, arrivare a coagulare un 10-15% di sicurezza.

Proprio a Nord-Ovest, però, la strada del Banco s’intreccia con quella della Banca Popolare di Milano. Qualcuno vede le due banche già sulla via dell’altare, ma intanto a quanto pare ci sono Fondazioni che stanno studiando i conti di Piazza Meda: più della Compagnia di San Paolo - in grado di sparigliare con il miliardo abbondante che incasserà dalla cessione obbligata di oltre il 3% di Intesa Sanpaolo, ma per ora in stand by - il dossier potrebbe interessare a Fondazione Crt o ad altre Fondazioni piemontesi, da Asti a Biella alle cuneesi. Bpm piace per diversi motivi, ma soprattutto perché è già presente in regione, vista la passata acquisizione di CrAlessandria e la quota del 18,2% in CrAsti, che a sua volta controlla Biverbanca.

In Ubi, dove la presenza dei fondi istituzionali è pari al 40%, la “conta” è destinata a far riemergere le diverse anime che hanno portato alla nascita del gruppo, quindi le famiglie imprenditoriali bresciane e bergamasche, le due diocesi (che insieme, ai valori della scorsa assemblea, hanno quasi lo 0,5% del capitale) ma anche le Fondazioni: oltre a Cuneo, c’è la Banca del Monte di Lombardia, vicina all’1,6%. Tutti candidati, sulla carta, a comporre lo scalino anti scalata.

Per quanto riguarda Bper, gli occhi per ora sono puntati su alcuni imprenditori storici clienti e soci della banca, da Piero Ferrari a Luigi Cremonini, re della carne. Ma non è detto che la banca possa interessare ad alcune fondazioni emiliane, anch’esse chiamate a rivedere le proprie partecipazioni: in prima fila Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, riunite in Carimonte holding e sovraesposte su UniCredit. E poco lontano c’è l’ente CrFirenze, a sua volta sbilanciato su Intesa.

.@marcoferrando77

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