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INTERNET

Si chiama «web reputation» il rischio per le imprese ai tempi del web 2.0

Negli ultimi anni con l'avvento del web 2.0 fatto non più di siti statici ma di interattività a colpi di forum e social media c'è un asset che le imprese, soprattutto le più grandi, devono assolutamente saper gestire. Quello della «web reputation» del proprio brand e dell'azienda più in generale perché internet può rapidamente trasformarsi da opportunità in una pericolosa minaccia. Questo nuovo rischio reputazionale è stato al centro di un incontro organizzato nell'aula magna della Luiss di Roma dall'Osservatorio web e legalità che ha riunito grandi imprese e giuristi per provare a fare il punto sui rischi legati all'utilizzo scorretto della rete come veicolo di informazione, promozione e discussione.

Il punto di vista delle imprese
Secondo un recente studio condotto da Deloitte, immagine e reputazione del brand sono, dopo il capitale umano, i valori strategici percepiti come più importanti dalle aziende. Il 76% dei Ceo ed esponenti della business community americana sarebbero disposti a ridurre i prodotti della propria impresa nel breve periodo pur di proteggere la propria immagine nel lungo periodo. Nasce da qui l'importanza di un monitoraggio costante della propria reputazione on line e della gestione dei possibili attacchi reputazionali ricorrendo a competenze e strumenti adeguati di contenimento e repressione. Non a caso stanno emergendo nuovi mestieri sempre più richiesti come l'e-commerce manager e il Web reputation manager. Per Paolo Calvani, direttore comunicazione e immagine del Gruppo Mediaset prima «le aziende costruivano la propria reputazione secondo una propria agenda e dovevano tenere conto solo degli intermediari ufficiali (giornali)». Oggi invece «il web irrompe dando voce a tutti» e «senza l'appoggio di legali specializzati il comunicatore sul web può poco». Per Vittorio Cino, direttore comunicazione di The Coca-Cola Company Italia, «se da un lato la rete abbatte le distanze e apre un canale di contatto diretto e immediato con il pubblico, i rischi reputazionali hanno, per un'azienda come Coca-Cola, un impatto amplificato dalla sua dimensione». Da qui la necessità di continue campagne per «coltivare un rapporto duraturo con tweet star, youtuber e altri on line influencer». Infine Massimo Mantovani, Chief legal and regulatory affairs dell'Eni, punta il dito contro gli «utilizzi impropri del marchio o attività fraudolente online come il phishing».

Le carenze legislative
L'indagine Tomorrow's investment rules, condotta da Ernest&Young, mette ormai in cima alle priorità degli investitori elementi non tangibili o non iscritti in bilancio: i cosiddetti «intangible assets». Un dato, questo, che esprime bene l'urgenza di identificare strumenti e strategie per la tutela di tale patrimonio, messo a rischio anche attraverso l'utilizzo della rete. Un fronte al centro della seconda parte dell'incontro che ha provato a tracciare un bilancio sul quadro normativo, sul ruolo delle autorità di controllo e sugli strumenti giuridici disponibili per la tutela della web reputation. Un terreno dove c'è ancora molto da fare come a esempio per il giornalismo on line. Secondo Antonio Punzi, docente a Giurisprudenza della Luiss c'è un tema prioritario che è quello della non assoggettabilità del giornalismo online alla disciplina sulla stampa. «Il ddl in materia di diffamazione che doveva intervenire su questo - ricorda Punzi - è fermo da anni in Parlamento. Tale lacuna sottrae al danneggiato la possibilità di utilizzare strumenti intesi ad annullare o diminuire il danno da lesione reputazionale».

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