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Concordia, resta a Napoli il filone soldi ai partiti

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Concordia, resta a Napoli il filone soldi ai partiti

Ansa
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Col doppio ricorso che sarà discusso quest’oggi, davanti al Tribunale del riesame di Napoli, termina la lunga maratona giudiziaria che ha visto protagonisti gli indagati della presunta tangentopoli ischitana che, il 31 marzo scorso, ha decapitato la Cpl Concordia e portato in manette - tra gli altri - l’ex sindaco dell’isola verde, Giosi Ferrandino. Sarà proprio lui, insieme all’ex presidente della coop modenese Roberto Casari, a ricorrere stavolta ai giudici della libertà per chiedere di lasciare il carcere di Poggioreale. I due, nel corso dei rispettivi interrogatori di garanzia, hanno ribadito la correttezza del loro operato. Ferrandino ha sottolineato, rispondendo alle domande del gip Amelia Primavera, che i cantieri per il gasdotto erano stati affidati alla società cooperativa ben prima della sua elezione e di aver ereditato il relativo contratto dall’Amministrazione precedente. Dunque, senza aver avuto alcun ruolo attivo nell’affidamento dei lavori. Quanto alla consulenza dell’azienda a suo fratello Massimo, oggi ai domiciliari, ne sarebbe venuto a conoscenza a cose fatte così come avrebbe saputo solo successivamente della convenzione stipulata dalla Concordia con l’albergo di famiglia, a Ischia. Circostanze, entrambe, che per gli investigatori sarebbero la “ricompensa” all’ex sindaco per far liquidare gli stati di avanzamento delle opere e per poter contare sulla sua sponda politica in vista di appalti nei Comuni vicini.

Casari, invece, ha ribattuto alle più gravi contestazioni degli inquirenti ammettendo l’esistenza di fondi neri per piccole spese legate all’incarico. Poca roba, nell’ordine di 10mila euro utilizzati di volta in volta per esigenze aziendali come il pagamento delle cene. E smentendo in toto le ricostruzioni dell’ex manager Francesco Simone, i cui verbali rappresentano il principale grimaldello dell’accusa. Anche lui si è soffermato sulla legittimità dei contratti al parente del sindaco («Mi serviva per avere rapporti col Vaticano») e con la struttura ricettiva della famiglia del politico.

Nei giorni scorsi, due diversi collegi del Riesame, pur confermando le misure cautelari a carico dei coindagati, hanno disposto il trasferimento del procedimento a Modena, sede legale della multiutility dell’energia dove si sarebbe costituita, secondo l’accusa, l’associazione per delinquere. Otto degli iniziali 12 indagati sono direttamente coinvolti, tra cui proprio Simone e Casari oltre al manager Nicola Verrini.

Restano a Napoli invece i filoni relativi alle supposte mazzette per la metanizzazione di Ischia e di Procida (tranche, quest’ultima, in cui risulta indagato l’ex sindaco e parlamentare di An Luigi Muro). Ma sarà solo col deposito delle motivazioni, da parte dei magistrati del Riesame, che sarà più chiaro il destino che attende l’inchiesta e le sue numerose “filiazioni”. Soprattutto per quel che riguarda gli approfondimenti investigativi, disposti dai pm Woodcock, Loreto e Carrano, sui finanziamenti della coop ai partiti e alle fondazioni che, appena due settimane or sono, hanno portato a un doppio blitz dei carabinieri del Noe negli uffici della coop a Roma e a Modena con relativo sequestro di atti. Secondo alcune indiscrezioni, infatti, quest’ultimo filone, non rientrando nelle fattispecie di reato contestate nel procedimento-madre, approdato in Emilia, potrebbe diventare di competenza della Procura partenopea. Salvo poi, eventualmente, approdare ad altri lidi qualora, nel corso delle indagini, venissero fuori riferimenti a notizie di reato commesse altrove.