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«Ecco come la May Day Parade è diventata un inferno»

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LE TESTIMONIANZE

«Ecco come la May Day Parade è diventata un inferno»

La guerriglia è finita, quando le divise della battaglia sono state abbandonate. Mantelli neri, passamontagna, scarpe e caschi. Insieme ai martelli, le mazze, i martelletti frangi-vetri. E le bottiglie piene di benzina. A quel punto, tra barriere alte di polizia in assetto antisommossa, i più duri tra i No Expo si sono mescolati agli altri. E hanno smesso di essere i neri della galassia anarchica internazionale, che ha devastato il cuore di Milano per circa tre ore.

Il segnale se lo sono passati quando la coda della MayDay Parade è entrata in via de Amicis. È a quel punto che li ho visti tirar fuori le maschere antigas dagli zaini, calare i passamontagna sul viso, infilare tra le dita i martelletti. L’atmosfera si è rovesciata e l'eco festosa della musica degli ottoni che apriva il corteo ormai era svanita. Al suo posto, il rombo delle molotov, le grida di battaglia e il suono dei vetri in frantumi. È in coda al corteo che tutto si è consumato. Così come previsto. Così davanti ai miei occhi, il primo casseur ha spaccato le vetrine di una concessionaria di auto quasi all'angolo tra via de Amicis e corso Genova. La firma: Smash Expo. I tedeschi. Da allora, è stata autentica guerriglia. Difficile anche da seguire e raccontare. Guerriglia, quasi come Genova. Come previsto. Come temuto.

Avanti il camion con gli slogan No Tav, compresa la scritta “Graziano libero”, con riferimento al manifestante arrestato in uno degli assalti ai cantieri della Val Susa. Dietro, il blocco nero, che ha avuto il primo scontro con la polizia in Cesare Correnti. Nel cielo, volavano bottiglie incendiarie. Le vedevamo e poi puntuale pochi secondi dopo ecco il rombo, forte, amplificato dalle strade strette. Molotov e bombe carta lanciate contro la polizia, che aveva innalzato barricate per evitare che gruppetti cercassero di deviare verso il Duomo. La prima risposta sono stati gli idranti. Più avanti, saranno lacrimogeni e qualche carica.

Il corteo avanzava e dietro di sé lasciava vetrine spaccate, semafori divelti e scritte- tante scritte No Expo sui palazzi del centro. Ma questo è stato solo il preludio, la vera battaglia si è consumata da via Carducci in poi. Da quegli stessi zaini- neri- sono spuntati anche i martelli, che hanno picconato pure i muri antichi del collegio dell'Università Cattolica, davanti alla basilica di Sant'Ambrogio. Chi non le aveva con sé, si è procurato così le pietre usate dopo contro le vetrine delle Poste, contro le banche, ma lanciate anche contro gli agenti. La via stretta ha reso tutto più angusto. E l'ostilità si è spostata anche contro i giornalisti.

Ho visto manifestanti spaccare vetrine, lasciare molotov, ma non sempre è stato possibile fotografare. E poi postare su twitter. Chi veniva notato dai manifestanti, è stato colpito con uova o strattonato, come hanno fatto con un collega con una telecamera. In fondo, uno di loro me lo aveva detto prima della partenza del corteo: “non postare cose compromettenti”. Vuol dire foto con volti riconoscibili.

E non lo erano affatto riconoscibili i neri, quando hanno cominciato ad incendiare le auto. Sul viso le maschere antigas, in testa i cappucci, gli abiti tutti solo neri. In molti anche tra i cronisti a quel punto indossano caschi, per protezione. Le pietre volano in alto. Insieme alle bottiglie, che venivano cercate nei cassonetti dell'immondizia. Da via Carducci in poi, oltre alle banche, i bersagli diventano anche le auto. Una colonna di fumo nero si è alzata, quando la prima macchina è stata data alle fiamme. Un'ondata di calore ci ha investito. Con la paura che la macchina potesse esplodere. Scappare. Andare più avanti. Senza perderli di vista, ma senza farsi travolgere. Un cronista “acciaccato” non è più utile.
La battaglia successiva si è consumata in piazza Cadorna: fiamme dentro Ubi Banca, fiamme alle auto più costose lasciate lungo la strada, molotov lanciati contro la polizia. Anche io, come tutti, a quel punto avevo una sciarpa alzata sulla bocca. L'aria era piena solo di fumi, quelli neri delle auto in fiamme, quelli bianchi dei fumogeni, quelli colorati usati per fare scena e confondere. Una collega mi presta il secondo paia di occhiali da sole che aveva con sé. Piove, ma è necessario proteggersi: gli occhi cominciano a lacrimare. Più avanti, ho visto poliziotti bagnarsi le mani nelle pozzanghere per rinfrescare pupille irritate dai lacrimogeni.

Il suono di Milano è il rombo ripetuto delle molotov. Copre del tutto anche il suono dell'elicottero che continua a sorvolare il corteo. Provano a dividersi, a sparpagliarsi, per fare - secondo la loro prassi - singole azioni violente, per poi tornare nel corteo. In via Leopardi, abbiamo tutti temuto che la situazione potesse davvero degenerare ancora. Un'auto ha bruciato a lungo, prima che i vigili del fuoco riuscissero ad arrivare per spegnere il rogo. E la lunga colonna di fiamme e fumo nero ha investito in pieno anche le case del primo piano. Si diffondono voci incontrollate, i cestini dell'immondizia fumano.
Di altre molotov? I neri tirano fuori le mazze e si schierano come per creare un cordone. Alcuni camminano in retromarcia: controllano l'avanzata della polizia, riferiscono agli altri che avanti agiscono. Tutto è organizzato, premeditato. Gli slogan lontani, urlati dai vari camion, rimandano alle battaglie dei greci, a quelle dei tedeschi contro la Bce. A quelle contro l'Alta Velocità. Qui non c'è spazio neanche per le maschere di Anonymus, che all'inizio del corteo si erano affiancati a loro. Qui restano solo i più duri: loro non parlano, agiscono. Spaccano. E avanzano. Prossimo fronte, Pagano. Come previsto, la battaglia più aspra. L'ultima.

Avanzando in un corridoio di auto incendiate, ho visto lanci di bombe carta anche contro le persone affacciate alle finestre. Le molotov vengono lanciate contro la polizia, ma a volte esplodono anche in mezzo al corteo. E a quel punto si corre. E a quel punto, c'è la calca. E il rischio di essere travolti.

La polizia carica, tutti fuggono. In certe situazioni, essere molto alti e con molti più chili addosso aiuta. Invece, schiacciata nella folla a volte facevo fatica a respirare e mi sentivo sballottata anch'io dall'onda che avanzava. Con altre due colleghe, ho attraversato il fumo della battaglia. Bisognava andare avanti per poter vedere. Via Leopardi, piazza Virgilio, piazza Conciliazione: ad un certo punto, i monumenti erano avvolti in una sola nuvola di fumo. E le auto ai bordi delle strade quasi tutte in fiamme. Voltato lo sguardo dietro, ci si rendeva conto della devastazione.

La polizia lancia lacrimogeni. Loro rispondono con molotov. A quel punto, i miei occhi erano in fiamme. Ma dovevo tener duro ancora un po', sapevo che a Pagano tutto sarebbe cambiato. E infatti- dopo altri 20 minuti di guerriglia - le divise sono state abbandonate.
Un tappeto di felpe, impermeabili, scarpe, mazze e caschi lasciati a terra ha fatto “sparire” quelli che un tempo si sarebbero chiamati black bloc. Siamo in via Guido d'Arezzo: qui gli indizi che avrebbero potuto aiutare nell'identificazione dei violenti sono stati lasciati e il migliaio di antagonisti si è mescolato a tutti gli altri. Ad un corteo arrivato in testa chissà dove, ormai svanito. Ormai erano due cortei diversi: Separati, lontani. Fotografo un martello, lasciato per strada. E' stato usato contro le vetrine di banche, agenzie interinali, gioiellerie, semafori, cartelli pubblicitari. Un martello come quelli che avevano i primi fermati, sono 7-8, per lo più italiani.

Avevano anche una bottiglia piena di benzina. Tutto è sfrangiato a quel punto, si teme che piccoli gruppetti possano rispuntare di lato.
Si va a destra e sinistra, a vedere, a controllare. Per capire dove andare.
Informazioni sparse mi arrivano sul cellulare, insieme ai messaggi di chi - altrove- sta vedendo le immagini, sa che per lavoro sono lì. E mi chiede: “stai bene?”. Dalla redazione, mi raccomandano di “stare attenta”. Hanno sentito la mia concitazione nelle dirette, quando era difficile respirare. E però bisognava parlare e raccontare. Alcuni avanzano verso via Monte Rosa, dove è la nostra redazione. Piazza Amendola resterà a lungo blindata. Ho parlato- a fatica - con persone vicine agli antagonisti. “Solo con gli scontri arriva il nostro messaggio, questi scontri fanno molto meno danni delle infiltrazioni dentro Expo”, dichiara il primo, che decide di parlarmi. Anche se io non ho telecamere, ma solo un microfono.

Altre ragazze, torinesi, erano invece più avanti. E finita la battaglia distinguono tra gli incendi alle auto private (”un errore, forse le stanno pagando ancora”) e le devastazioni alle banche e alle vetrine (”sono simboli, giusto attaccarli).
La tensione scende, come la pioggia, ora più fitta. Almeno rinfresca gli occhi, sempre più irritati. Che ora vedono meglio la devastazione lasciata dai casseur, che hanno ferito il centro di Milano.
L'ultimo ostacolo è stato entrare dentro la redazione del Sole24ore. Le porte sono chiuse. Suono. Il cappellino in testa, i capelli bagnati non aiutano. Non mi aprono. Cerco nella borsa piena di ogni cosa il mio badge. Inutile ripetere il nome, non si fidano. Non sono i soliti guardiani, è festivo. E davanti alla nostra redazione ci sono ancora gruppi di manifestanti, diretti probabilmente al campeggio di Trenno. Alla fine, trovo il badge. Ed entro in redazione. Il mio cuore torna al suo ritmo normale.
La guerriglia è finita. Non il lavoro. Domani sera ancora Storiacce, 21.30.

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