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Aumenta l’area del dissenso nel Pd. Ora la partita è sulle altre…

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IL CONFRONTO TRA I DEM.

Aumenta l’area del dissenso nel Pd. Ora la partita è sulle altre riforme

«Cinquanta no del Pd? Cinquantacinque? Non è questione di numeri. È che alla fine abbiamo fatto come avevano fatto loro con il Porcellum, abbiamo approvato una riforma elettorale da soli e con l’Aula di Montecitorio semivuota. È questo il dato politico di oggi. E alla fine, per chi è attento alla psicologia, l’applauso non è stato di quelli felici, liberatori... È un po’ il sentimento di chi si sente dire “tranquillo, è benigno”». Gianni Cuperlo non usa toni agguerriti al termine del voto che ha visto passare l’Italicum con 334 sì e 61 no, come d’altra parte è suo stile, ma comincia a riflettere sul dopo.

Di lasciare il partito non se ne parla, e come lui la pensano Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza e molti altri. E anzi, Cuperlo racconta di aver discusso con Matteo Renzi della necessità di riportare presto in edicola l’Unità («che è di tutti, è la nostra storia»), anche se smentisce di voler fare lui il direttore. Insomma, dentro il Pd; ma come ancora non è del tutto chiaro. In un punto non lontano del Transatlantico il giovane Speranza, che in questa battaglia contro i capilista bloccati dell’Italicum ha rinunciato al posto di capogruppo alla Camera, fa un ragionamento non troppo distante da quello di Cuperlo: «Alla fine la nuova legge elettorale è stata votata a maggioranza, che è proprio quello che si voleva evitare, in un’Aula semivuota e con un pezzo del Pd che dice al suo segretario “ma dove vuoi andare, che cosa stai facendo”». Chiaro che il grosso della minoranza del Pd non puntava davvero a disarcionare il premier: la strategia è quella di preparare un’alternativa di leadership e politica per la prossima stagione congressuale, magari puntando proprio sul logoramento del premier.

Intanto, i numeri: i 61 contrari non sono tutti del Pd. Tra i contrari ci sono i 9 ex grillini che sono rimasti in Aula votando contro e i no annunciati di Saverio Romano (Fi) e di Mauro Pili , Massimo Corsaro e Luca Pastorino (tutti del Misto). Ne restano 9, di no, e non sono con certezza ascrivibili tutti al Pd. Ai 38 che non hanno votato la fiducia se ne possono aggiungere 5 o 6, è il calcolo più diffuso: in tutto l’area del dissenso interno a Renzi arriva a 43-44. Più o meno il numero messo in conto fin dall’inizio di questa partita da una parte e dall’altra. Ma certo è «un dissenso serio e pesante», ammette il presidente del partito Matteo Orfini, con il quale Renzi dovrà fare i conti nei prossimi passaggi parlamentari. Non a caso la riforma della scuola, contro la quale oggi scioperano gli insegnanti, è già in via di modifica in commissione alla Camera e il renziano Andrea Marcucci ha invitato ieri i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil a un’audizione in Senato per discutere i cambiamenti. E non a caso la ministra Maria Elena Boschi ha ribadito la disponibilità a intervenire con "compensazioni” sulla riforma del Senato dopo le regionali. Ma intanto, per Renzi, un punto fermo è stato messo.

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