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Hub di ricerca per la crescita industriale

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Attualità

Hub di ricerca per la crescita industriale

La falda. A “raccontare” l’evoluzione dell’economia di Milano, la sua capacità di trasformazione, è anche l’acqua che periodicamente riemerge dai box o dai seminterrati in numerose zone della città.

Un innalzamento legato anche al minor prelievo dell’industria pesante, lascito involontario dell’addio di colossi come Breda, Falck, Alfa Romeo, Innocenti, Autobianchi.Uno shock assorbito dal territorio senza troppi traumi e in fondo l’acqua ne è metafora perfetta, con il suo fluire “parallelo” alla nascita delle nuove attività imprenditoriali e alla creazione di nuovi posti, spesso legati al terziario avanzato.

«Entro l’estate assumeremo dieci persone - spiega il 26enne Andrea De Spirt, fondatore della piattaforma Jobyourlife - perché in effetti siamo pronti per sbarcare all’estero: nel 2012 eravamo in quattro, tra pochi mesi saliremo a 30».

Solo un esempio tra tanti, perché delle 3.883 start-up innovative censite in Italia, oltre 500 hanno sede proprio a Milano. Luogo unico, in effetti, nel panorama nazionale, anzitutto nella produzione di know-how. Con otto università, più di 180mila studenti (di cui 17mila stranieri) e numerosi centri di ricerca pubblici e privati, Milano è a pieno titolo un hub della conoscenza, punta avanzata di quello che in fondo dovrebbe essere il futuro del Paese: prodotti ad alto valore aggiunto, spesso personalizzati, lontani dalle grandi serie, a spiccata vocazione internazionale, con un intreccio virtuoso tra manufatti e servizi. Alimentati da piccole e grandi aziende, perché qui a Milano ha sede quasi il 40% delle multinazionali presenti in Italia, localizzazione che a dispetto della presenza pervasiva dei servizi spinge verso l’alto anche l’export manifatturiero, ponendo Milano ai vertici nazionali con oltre 37 miliardi di vendite oltreconfine, quasi il doppio rispetto alla seconda provincia, Torino. Con vocazioni variegate: dai macchinari alla chimica, dai prodotti farmaceutici al tessile-abbigliamento, dagli alimentari alla meccanica, a conferma di un territorio difficilmente riconducibile alla sola moda, al design, allo stile e allo shopping. La voglia di fare impresa qui del resto non si è mai smorzata neppure nei tempi più cupi della crisi, con le nuove iscrizioni registrate in Camera di Commercio dal 2005 sistematicamente e ampiamente superiori alle cessazioni, con un saldo positivo (+2,1%) che nel 2014 è il quadruplo della media nazionale. Uno stock di imprese attive che sfiora le 290mila unità (+0,9% nel 2014) e progressivamente irrobustito anche nella struttura, con una quota di società di capitali salita al 44,8%, oltre cinque punti in più rispetto al 2005. La crescita? È dell’1,4% mentre in Italia è ferma ma non è nella manifattura, che è in lieve arretramento, piuttosto nei servizi informatici e nelle tlc (+2,2%), nelle attività professionali e tecnico-scientifiche (+0,3%) o nei servizi alle imprese (+6,5%). Terziario avanzato che del resto ha rappresentato negli anni un motore formidabile, capace oggi di assorbire a Milano il 73% degli addetti, otto punti in più rispetto al 2001. E che tuttavia non racconta l’intero territorio, capace di accogliere e far germogliare ancora la manifattura più innovativa. Come è il caso della FabTotum del 29enne Marco Rizzuto, partita a fine 2013 per produrre stampanti 3D e ora “afflitta” dal problema della crescita. «Dobbiamo raddoppiare la capacità produttiva - spiega il fondatore - e questo significa inserire almeno altre 5-10 persone entro fine anno per salire a 25 unità. Milano? Cruciale essere qui, si forma una rete di contatti che ti aiuta per trovare partner e fornitori». Cinque, dieci unità in più. Che sommate ad altre esperienze fanno la differenza. Ed è soprattutto per questo, per la vitalità delle imprese, che anche in termini di lavoro la città ha resistito all’urto della recessione, mantenendo il tasso di disoccupazione ben al di sotto della media nazionale, 8,4% a fine 2014 rispetto al 13,3% in Italia. Rispetto al 2007 il gap nella produzione industriale è di 13 punti, divario pesante e tuttavia quasi dimezzato rispetto a ciò che è accaduto in Italia. “Resistenza” alimentata anche dalle numerose start-up che hanno arricchito il territorio di nuove iniziative, dalle bio-tecnologie alla manifattura additiva, dall’aerospazio alla sostenibilità. «Siamo partiti nel 2002 - spiega la fondatrice di Relight Bibiana Ferrari - e oggi abbiamo già 40 addetti , con nuovi investimenti e assunzioni in arrivo nel prossimo anno». Il business è il riciclo dei rifiuti elettrici ed elettronici, nicchia dove l’azienda è riuscita a ritagliarsi uno spazio intercettando anche fondi Ue in collaborazione con gli atenei locali. E Relight è in fondo solo un tassello di un mosaico più ampio, rappresentato dalle centinaia di imprese associate al Green Economy Network di Assolombarda, area vasta da 25mila addetti e 50 miliardi di ricavi. La forza delle metropoli è stata dunque quella di saper andare oltre le proprie tradizionali aree di eccellenza, cioè moda, design e finanza, per provare a seguire anche nuove vie continuando a sperimentare. Nella farmaceutica come nelle applicazioni web, nei servizi innovativi come nel biotech, che in Lombardia e nell’area milanese in particolare raggiunge “densità” e risultati notevoli. «Lo dico sottovoce - ci racconta Fabio Arenghi, fondatore di Cpc Biotech, localizzata tra Milano e Monza - ma direi che le cose vanno bene». L’azienda di enzimi, nata nel 2007 e già arrivata a 1,6 milioni di ricavi, con due nuove assunzioni porterà entro fine anno gli occupati a dieci unità, «tutti almeno laureati», con prospettive di crescita e nuovi prodotti sfornati a getto continuo. «Milano? La sensazione è che qui ci sia un sistema che funziona». Tra i “motori” dell’innovazione vi è senza dubbio l’incubatore gestito dalla Fondazione Politecnico di Milano, forse uno dei luoghi simbolo di questa “tensione” verso il futuro, visibile nell’attività all’interno degli open space, dove attualmente sono incubate 54 aziende. Ed è forse per questo, per le prospettive di sviluppo e di lavoro che si possono toccare con mano, per il successo mondiale di vetrine come il Salone del Mobile, per il richiamo globale degli eventi Armani o Prada, e perché no, anche per le grandi attese legate all’Expo, che la fiducia sul territorio è ben oltre la media nazionale, arrivando ai massimi dal 2011. Milano, dunque, ci crede. Anche perché, come si è visto dopo la vergogna Black bloc, alla lamentazione preferisce l’azione. Tirarsi su le maniche, insomma. E lavorare.

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