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Sequestrati beni per 800 milioni a Giovanni Acanto, ragioniere della mafia

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Sequestrati beni per 800 milioni a Giovanni Acanto, ragioniere della mafia

È ritenuto il rappresentante della zona grigia al servizio delle cosche di Villabate avrebbe gestito l’immenso patrimonio dei boss in carcere grazie a una girandola di società in vari settori commerciali. Ragioniere commercialista, ex deputato dell’assemblea regionale siciliana, Giuseppe Acanto avrebbe avuto la gestione diretta di un patrimonio di quasi 800 milioni. E quel patrimonio fatto di case, terreni, aziende, partecipaziopni societarie e denaro in contanti è stato sequestrato dagli uomini della Direzione investigativa antimafia.

Gli uomini della Dia, coordinati dal direttore nazionale Nunzio Ferla e dal capocentro di Palermo Riccardo Sciuto, hanno eseguito il sequestro in esecuzione di una misura della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo presieduta da Silvana Saguto. Un colpo mortale al patrimonio di Cosa nostra e in particolare alla cosca di Villabate, comune alla periferia est di Palermo, dove Acanto ha operato sia sul fronte professionale che politico: Villabate è il paese in cui dal 2002 al 2004 è stato ospitato e coperto da latitante Bernardo Provenzano.

Acanto è stato accusato dal pentito Francesco Campanella, l’uomo che ha procurato a «Binnu u tratturi» (Provenzano) la carta d’identità per consentirgli di essere operato in Francia alla prostata, di essere coinvolto nella mega truffa organizzata all’inizio degli anni Novanta da Giovanni Sucato, colui che fu definito il “mago dei soldi” perché era riuscito a truffare migliaia di siciliani promettendo di raddoppiare in breve tempo i capitali che gli venivano consegnati e che poi è stato ucciso. In quel procedimento Acanto è stato indagato ma alla fine la sua posizione è stata archiviata. Ma non c’è solo questo tra le carte degli investigatori. È sempre il pentito Campanella a raccontare dettagli sull’attività di Acanto: già consigliere comunale a Villabate tra il 1990 e il 1994, avrebbe avuto rapporti con le cosche che in quegli anni cominciavano ad avviare il progetto per la costruzione di un mega centro commerciale: al consiglio comunale spettava il compito di approvare la variante al piano regolatore che consentisse la costruzione del centro. Le inchieste avviate a suo tempo su questo fronte non portarono però a nulla.

Più dettagliata e finita anche nelle carte del processo all’ex presidente della Regione Totò Cuffaro, condannato per favoreggiamento alla mafia e oggi in carcere, la storia della candidatura di Acanto alle regionali. Acanto candidato nella lista Biancofiore prese 1941 voti che non gli bastaronono per essere eletto: fu il primo dei non eletti ed entrò a far parte del Parlamento siciliano nel 2004 dopo l’arresto Antonio Borzacchelli, ex carabiniere coinvolto nell’inchiesta sulle talpe alla Dda di Palermo, poi assolto dal reato di concussione mentre la violazione del segreto istruttorio è stata dichiarata prescritta. Nelle motivazioni con cui la Corte di cassazione ha reso definitiva la condanna a Cuffaro si possono ritrovare alcuni passaggi interessanti: «L'esito finale del colloquio tra Campanella e Cuffaro - scrivevano i supremi giudici – era stato l'inserimento di Acanto in lista. Cuffaro, pur consapevole della caratura mafiosa dei Mandalà e pur conoscendo che l’Acanto era stato sostenuto elettoralmente da tale famiglia (che si era impegnata in ogni modo con finanziamenti, stampa, distribuzione di fac-simile elettorali) aveva conferito all'Acanto un incarico»: dopo la mancata elezione era stato nominato liquidatore di alcune cooperative.

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