Un apparente gioco di parole – Cose di cosa nostra – che è, più profondamente, la prima lezione dell'ora di legalità offerta ai lettori.
Non si poteva che partire da questo libro, scritto da Giovanni Falcone in collaborazione con la giornalista francese Marcelle Padovani, in edicola da oggi fino a giovedì della prossima settimana con il Sole-24 Ore a 8,90 euro oltre al prezzo del quotidiano, nell'ambito della Collana editoriale “Ora legale – Storie di eroi, mafia e antimafia” (in tutto 20 volumi fino al 24 settembre).
Non si poteva che partire da questo volume perché l'Italia e il mondo si apprestano a ricordare il 23esimo anniversario della strage che il 23 maggio 1992 tolse la vita terrena sull'autostrada palermitana, nei pressi di Capaci, allo stesso giudice Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.
Non si poteva che partire da questo volume perché il sottotitolo – che inevitabilmente si tende a non memorizzare – è una prima, indimenticabile lezione di legalità: «In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere». La frase che la precede è: «Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno».
Oggi, a distanza di 23 anni, ci sono milioni di italiani e un pugno di magistrati che si domandano se ci fu una parte subdolamente deviata dello Stato, che non riuscì o non volle proteggere Falcone e, con lui, altri Servitori dello Stato che prima e dopo quella strage lasceranno le loro vite sul terreno della incompiuta democrazia italiana.
Oggi, a distanza di 23 anni da quella strage, partire dalla lettura di questo libro rappresenta la presa di coscienza del fatto che sono ancora diversi i Servitori dello Stato che vengono lasciati soli o che, entrati in giochi troppo grandi per senso della giustizia o del dovere e della lealtà alle Istituzioni e al popolo italiano, vengono ancora lasciati soli. Un abbandono che vuol dire essere nudi di fronte ai rischi della delegittimazione (la cui onta lo stesso Falcone ha dovuto affrontare), che giunge sempre prima della morte fisica ed è comunque più mortale, perché ricevuta in vita e, non di rado, da chi ti respira a fianco.
Non si poteva che partire da questo volume perché, dalla prima all'ultima pagina, è un manuale di formazione e informazione sulla legalità al quale non si può e non si deve rinunciare.
Nel libro, da respirare pagina dopo pagina, l'attenzione si posa sul capitolo delle contiguità che hanno sempre pervaso Cosa nostra, che si è sempre abilmente mescolata o confusa nella società con le sue reti invisibili, oggi sempre più raffinate.
Non è un caso che quel capitolo si chiuda così: «Ma la mafia non è una società di servizi che opera a favore della collettività, bensì un'associazione di mutuo soccorso che agisce a spese della collettività civile e a vantaggio solo dei suoi membri. Mostra così il suo vero volto e si rivela per una delle maggiori mistificazioni della storia del mezzogiorno d'Italia, per dirla con lo storico inglese Denis Mack Smith. Non frutto abnorme del solo sottosviluppo economico ma prodotto delle distorsioni dello sviluppo stesso. A volte articolazione del potere, a volte antitesi dello Stato dominatore. E, comunque, sempre un alibi».
Come un alibi è quello dietro il quale si nasconde chi, per non guardare in faccia il male assoluto delle mafie, si volta dall'altra parte.
Falcone e Padovani ci aiutano a guardarle in faccia e ad affrontarle.
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