L'offerta politica con cui i partiti si presenteranno davanti agli elettori nelle sette regioni al voto il prossimo 31 Maggio è un misto di elementi di continuità e di alcune interessanti novità. Tra i primi spicca la proliferazione di liste e candidati.
Prendiamo la Puglia. Qui i candidati alla presidenza della regione sono sette. Le liste sono 19 e i candidati sono quasi mille. Le liste a sostegno di Michele Emiliano, candidato del centro-sinistra, sono 8. Lo stesso numero di liste che in Liguria appoggiano Giovanni Toti, candidato del centro-destra. Il record però spetta alla Campania. Qui le liste sono in totale 24. Sia il candidato del centro-destra, Stefano Caldoro, che quello del centro-sinistra Vincenzo De Luca sono collegati alla bellezza di 10 liste ciascuno. Tra quelle che appoggiano Caldoro troviamo liste evocative del tipo “Vittime della giustizia e del fisco” oppure “Mai più terra dei fuochi”. De Luca è stato meno fantasioso. La sua lista più intrigante è “Campania in rete”.
Tanti candidati e tante liste non sono una novità. Ma perché questo fenomeno? E perché accomuna Nord e Sud ? Ci sono diversi fattori in gioco. Non basta però fare un riferimento generico a cultura politica e clientelismo. Se così fosse dovremmo trovare una maggiore diffusione del fenomeno nelle aree più interessate da rapporti di tipo personale e clientelare, e cioè il Sud. E invece, come abbiamo già fatto notare, la proliferazione di liste e candidati esiste al Nord come al Sud. Nelle regionali in Piemonte nel 2010 le liste furono addirittura 31, di cui 12 a sostegno della candidata del Pd. Certo, nelle regioni meridionali il fenomeno presenta caratteristiche in parte diverse, ma alla fine il quadro è lo stesso.
Secondo noi la ragione principale sta in certi meccanismi sbagliati dei sistemi elettorali regionali. In particolare, il fatto che i voti raccolti da qualunque lista, anche quelle che restano sotto le varie soglie per prendere seggi, servono a vincere. Infatti anche la lista “Vittime della giustizia e del fisco” potrebbe consentire a Caldoro di prendere un voto in più di De Luca e quindi conquistare vittoria e premio di maggioranza. La stessa cosa succedeva con il sistema elettorale ideato da Calderoli nel 2005 per l'elezione del Parlamento nazionale. Con l'Italicum non può più succedere. Questo è un altro dei vantaggi legati al fatto che il premio di maggioranza va solo alla lista e non più anche alle coalizioni. A livello regionale non è così. Ed è un errore.
Se a questo fattore aggiungiamo il voto di preferenza che è una caratteristica di tutti i sistemi elettorali regionali, il quadro è completo. La formula è semplice: più liste, più candidati, più voti di preferenza. E naturalmente più sono i voti di preferenza più sono le possibilità di essere eletti, e soprattutto maggiore è il peso politico da far valere sui vari tavoli della politica sia con il vincitore che con i futuri sfidanti. Il lato positivo della faccenda è che ci saranno più elettori che andranno a votare. Elettori che senza il voto di preferenza starebbero a casa. Qualcuno si rallegrerà di questo sostegno alla affluenza. Il sottoscritto ha qualche dubbio.
La vera novità di queste elezioni sta nella politica delle alleanze. Soprattutto nel centro-destra. Una volta era il centro-sinistra lo schieramento più numeroso e più diviso. Oggi non è più così. Certo, anche in questo schieramento ci sono combinazioni diverse nelle diverse regioni, ma nulla in confronto al centro-destra. In un paio di regioni il Pd è alleato di Sel, in altre due sta con l'Udc (senza Ncd), e in Puglia è alleato sia con Sel che con l'Udc. Il fatto curioso è che in nessuna delle sette regioni il Pd è alleato con Ncd, suo partner nel governo nazionale.
Diverso è il caso del centro-destra, i cui partiti si presenteranno davanti agli elettori in 10 diversi tipi di alleanze. Nella scheda in pagina il lettore potrà vedere le varie configurazioni in cui si materializza la diaspora di questo schieramento. Solo in Liguria e in Umbria si presenta unito. In tutte le altre regioni manca qualche pezzo. Per arrivare al caso della Toscana in cui i candidati del centro-destra sono addirittura tre.
È vero che a livello regionale le alleanze spesso si adattano alle situazioni locali, ma quando le varianti arrivano a questi livelli si è portati inevitabilmente a pensare che il fenomeno non sia altro che il riflesso di uno stato di anarchia al centro che si ripercuote in periferia. L'esito di queste elezioni potrebbe aggravare la sindrome o creare le condizioni per una graduale uscita dalla crisi. La prima ipotesi sembra più probabile della seconda. Dipende da quanto succederà in Liguria e in Campania, che sono le due regioni veramente in bilico. Ma anche dalla resa dei conti in Puglia tra Berlusconi e Fitto. I motivi di interesse per questa tornata elettorale certamente non mancano.
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