Chi innova ed esporta cresce di più ed esce prima dalla crisi. Lo ha detto con chiarezza pochi giorni fa il governatore di Banca d’Italia e il cambiamento delle imprese italiane in atto negli ultimi anni, rileva il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi nella sua relazione, ne è la testimonianza più solare. Perché c’è un’avanguardia sempre più folta di piccole e medie imprese, «tra le 15 e le 20mila, che si sta cambiando l’abito in corsa», anche se nel suo processo di conversione e maturazione rischia di inciampare troppo spesso nei veti di una «cultura anti-industriale ben radicata», nelle complicazioni inattese di una «manina anti-impresa» che talvolta si insinua nelle pieghe dei provvedimenti.
C’è una fascia imprenditoriale, ampia, che sta cogliendo le sfide dell’export e dell’innovazione, che «cerca finanza per la crescita industriale, integra l’information technology nei prodotti, assume talenti e parla le lingue del business globale». È la chiave italiana per svoltare, sintetizza Squinzi, se non fosse per gli ostacoli che anche con l’ultimo governo si sono concretizzati lungo il cammino. Gli esempi citati sono diversi: «Reati ambientali, nuovo falso in bilancio, canone sugli imbullonati, Tasi sull’invenduto», oltre a nuove autorizzazioni di varia natura. Per ogni caso una battaglia portata avanti dagli industriali. Sui reati ambientali rimangono forti perplessità relative ai tempi delle bonifiche per conseguire il cosiddetto ravvedimento operoso. Il nuovo falso in bilancio rischia di lasciare margini di incertezza paralizzanti su che cosa può essere configurato come reato, con un basso grado di tassatività e ampi spazi di discrezionalità e interpretazione lasciati ai giudici. Sul caso “imbullonati”, un’odiosa forma di patrimoniale sui macchinari, le soluzioni governative finora fatte trapelare, e destinate a entrare nel decreto attuativo sulla riforma del catasto,potrebbero rivelarsi solo un palliativo. Esempi di una dialettica troppo spesso farraginosa tra imprese ed esecutivo. E le complicazioni normative - lamentano gli industriali - assurgono di conseguenza al precipitato fattuale di una cultura anti imprenditoriale. «La lingua criptica dei provvedimenti legislativi o amministrativi» si traduce in diverse occasioni in provvedimenti di attuazione peggiorativi rispetto alla norma primaria da cui derivano. E alla stratificazione di «migliaia di norme» può unirsi, in una sorta di miscela esplosiva, la sindrome “nimby”, la costituzione di un «comitato contrario all’annuncio di un qualsiasi progetto, che si tratti di un investimento privato o pubblico». Un problema di cultura e comportamenti collettivi, è la lettura che ne dà Squinzi, tanto più controproducente se rapportato all’eccellenza che nel campo industriale l’Italia è in grado di esprimere.
C’è una storia alle spalle. Squinzi ricorda «la prima vera grande fabbrica al mondo fatta da noi, a Venezia, centinaia di anni in anticipo sulla prima rivoluzione industriale, fondando nel 1104 l’Arsenale che all’apice della sua attività produceva una nave al giorno». Di strada se n’è fatta fino a posizionarci come seconda potenza manifatturiera europea, in grado di intercettare le nuove tendenze industriali. È dalle Pmi più innovative, prosegue Squinzi, quelle che fanno alleanze globali e si specializzano nel proprio business, «che devono nascere le nuove multinazionali tascabili e i grandi campioni industriali dei prossimi decenni». Gli imprenditori, assicura il presidente di Confindustria, sanno che innovare di più è «la regola aurea» e si stanno attrezzando per il cambiamento. Ma serve un contesto diverso, «un abito su misura fatto di credito e finanza, ulteriore sostegno sui mercati esteri,di ricerca e innovazione, con un fondo speciale a loro dedicato».
Nel dettaglio, nelle aree citate, gli imprenditori soppesano un mix di norme attuate, progetti incompiuti, provvedimenti fermi nel cassetto. Sulla ricerca ieri il ministro Guidi ha finalmente annunciato lo sblocco del credito d’imposta sugli investimenti. Ma bisogna ancora attendere per il patent box. Sul credito, i benefici maggiori sono arrivati dalla moratoria pattuita con l’Abi che è valsa finora “ossigeno” per 14,6 miliardi. Sull’eterna questione dei debiti commerciali della Pa, le imprese hanno apprezzato «il pagamento di 40 miliardi di soldi nostri», ma il meccanismo congegnato dal governo non è ancora a regime e, a leggere gli ultimi dati di Bankitalia, l’accumulo di nuovi arretrati rischia di vanificare i progressi fatti sui dati storici.
E in linea più generale, l’attesa è per un radicale cambio di passo nelle politiche industriali seguendo esempi che si stanno consolidando. «Dagli Stati Uniti alla Cina e alla Germania, dal Giappone alla Francia, dalla Spagna alla Corea del Sud, la politica industriale è tornata al centro dell’agenda dei governi».
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