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Dossier «Segni di risveglio, industria protagonista»

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    Dossier | N. 5 articoliAssemblea Confindustria

    «Segni di risveglio, industria protagonista»

    «Ho cercato di dare un contributo al cantiere di un paese più moderno e a misura d’impresa». Giorgio Squinzi è arrivato alla fine del suo discorso all’assemblea di Confindustria, che quest’anno ha voluto all’Expo. È l’industria, in particolare la piccola e media impresa, «la chiave italiana per svoltare», quella realtà che «si sta cambiando l’abito in corsa», ha «tutte le carte in regola per crescere e rafforzare il nostro ruolo di hub manifatturiero». Abbiamo tra le 15 e le 20mila Pmi che esportano, fanno innovazione, cercano finanza per crescere, assumono talenti, ha detto Squinzi: da qui devono nascere le «nuove multinazionali tascabili e i grandi campioni industriali dei prossimi anni».

    È la battaglia che ha condotto da quando è arrivato al vertice di Confindustria, un impegno che i duemila invitati gli hanno riconosciuto, con un lunghissimo applauso finale e una standing ovation: mettere l’industria al centro, come motore della crescita. La politica industriale è tornata ad essere al centro dell’agenda dei governi: «La politica e l’economia sembrano consapevoli che produrre e non speculare sia l’unica strada ragionevole per una crescita non effimera». I segnali di risveglio ci sono, ma «il crinale tra crescita e stagnazione è assai sottile». Quindi vanno consolidati, con un contesto favorevole. Squinzi non ha voluto bussare alla porta dell’esecutivo: «Non ho richieste né intendo lamentarmi con il governo di alcunché». L’unica, ha aggiunto, è «semplicemente di non smarrire la determinazione, perché è la precondizione necessaria, indispensabile, per cambiare il paese e perché i compiti sono molto, ma molto impegnativi». Bisogna liberare il mercato dalle rendite monopolistiche e la presenza eccessiva della mano pubblica in servizi che si potrebbero aprire alla concorrenza. La determinazione, ha sottolineato Squinzi, sarà fondamentale nella riduzione della spesa pubblica, «su cui non si avverte alcun segno di inversione».

    Ma lo preoccupa quella cultura anti-industriale così radicata: «Batterla è la riforma più difficile». Anche con questo governo, «che pure pare più attento», la «manina anti-impresa» ogni tanto si esercita nelle pieghe dei provvedimenti. I reati ambientali, il nuovo falso in bilancio, nuove autorizzazioni varie, il canone sugli imbullonati o la Tasi sull’invenduto, in generale una giurisprudenza studiata contro l’impresa. La realtà delle aziende dovrebbe essere considerata invece «patrimonio nazionale». In Italia, ha aggiunto Squinzi, qualsiasi progetto nuovo porta con sé un comitato contrario. «Questo non si risolve per legge, la semplificazione si costruisce nella cultura e nei comportamenti collettivi».

    Squinzi ha citato Papa Bergoglio: «Stiamo vivendo non tanto un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca». Gli imprenditori lo sanno che devono innovare di più, investire, fare formazione. «Molto resta da fare, ma molto è stato fatto». Le imprese «hanno cambiato rotta e fatto tesoro degli errori del passato». Ora occorre che lo facciano anche altri protagonisti. Dentro i confini, oltre alla determinazione del governo ad andare avanti, Squinzi si è rivolto al sindacato: vanno realizzate relazioni industriali moderne. La riforma del lavoro va nella giusta direzione. Ma se non riparte la domanda interna è difficile rilanciare l’occupazione. I sindacati sulla riforma hanno valutazioni diverse, ma su un punto va trovata «sintonia»: rendere più conveniente il contratto a tempo indeterminato è una scelta di fondo che contrasta la precarietà. «Sarebbe un errore non condividere questa scelta e un danno peggiore subire campagne sindacali, azienda per azienda, per riconquistare con la forza ciò che secondo qualcuno è stato tolto per legge». Sarebbe un altro errore, dopo l’accordo sulla rappresentanza, non completare le regole, mettendo ordine sulla contrattazione in vista dei rinnovi, se si vuole mantenere la propria autonomia, evitando leggi. Bisogna legare in modo «più forte e stringente» salari e produttività, i contratti nazionali devono accompagnare questo cambiamento, evitando che i due livelli si sommino. Ed anche approfondire il tema del welfare, «il terreno più sfidante delle moderne relazioni industriali».

    Fuori dai confini, è l’Europa che deve cambiare: «È pesante, lenta e divisa». L’unica istituzione che agisce per il rilancio dell’economia è la Bce di Mario Draghi. «Ma questa non può sostituirsi all’Unione degli Stati». All’Europa «manca l’anima e il cuore. Quella di oggi non è l’Europa che mi piace». È diventato il Continente della bassa crescita, aggrappato ad un «rigorismo eccessivo». Anche la questione della Grecia, se fosse stata affrontata all’inizio, sarebbe già stata risolta. «Il campo su cui si farà l’Unione vera, su cui terrà la moneta unica, sono il lavoro e lo sviluppo, con un progetto comune». E sarebbe un importante segnale di fiducia se la Commissione fornisse più elementi sui 300 miliardi del piano Juncker.

    L’Italia ha la credibilità per essere protagonista di questa nuova stagione. E le imprese sono pronte, con «proposte all’altezza delle sfide». Qualcosa, e non poco, si muove ha detto Squinzi. Sono state varate e avviate riforme frutto anche dell’impegno di Confindustria: i 40 miliardi di euro pagati dalla Pa, i 5,6 miliardi di riduzione dell’Irap, i 2,6 miliardi di abbattimento degli oneri sociali nel 2015, la moratoria sui debiti bancari , il decreto Poletti e il jobs act, la delega fiscale, «anche se la pressione è a livelli intollerabili, vero ostacolo a nuovi investimenti e ad una crescita duratura». In questo scenario Squinzi ha rivendicato il ruolo dei corpi intermedi: ci sono malesseri e difficoltà, ma «la democrazia e lo sviluppo senza le imprese e le loro libere associazioni non si possono realizzare». Stiamo cambiando le nostre associazioni, ha detto Squinzi. E nelle conclusioni ha ripreso il Nobel Amartya Sen: «Ho sempre creduto in questo paese, convinzione che non mi ha mai abbandonato, perché l’ho condivisa con voi». Parole sostenute da un lungo e caloroso applauso.

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