Mentre le prime proiezioni fanno intravvedere un 5-2 sul filo del rasoio, con il recupero in extremis della “rossa” Umbria, il dato vero con cui si dovranno fare i conti in casa democratica nelle prossime settimane è quello della Liguria: il vantaggio di Giovanni Toti, consigliere politico di Silvio Berlusconi e candidato unico di tutto il centrodestra, sulla candidata del Pd Raffaella Paita e il buon terzo posto della candidata grillina Alice Salvatore. «La Liguria sarà il laboratorio politico del futuro non tanto per quello che è accaduto, ma per quello che accadrà», annuncia sornione l’ex leader della Cgil Sergio Cofferati, che dopo aver perduto le contestatissime primarie contro Raffaella Paita è uscito dal Pd favorendo la creazione di una candidatura a sinistra: il candidato “civatiano” Luca Pastorino, anche lui uscito dal Pd, che oscilla attorno al 10%. A occhio e croce - basta fare la semplice somma matematica - tutti voti tolti al Pd rispetto alle europee dello scorso anno. Cofferati predice a caldo due soluzioni alternative: o un governo M5s/Pastorino, o più probabilmente un governo Toti/Paita. Costringere il Pd nell’angolo delle larghe intese con Fi, per di più a rapporti di forza rovesciati, sembra essere il vero obiettivo dell’operazione ligure.
A livello nazionale questo vuole dire che la sinistra del Pd o una sua parte, se deciderà di scindersi e presentarsi con una formazione nuova assieme a Sel e alla “coalizione sociale” messa in piedi per ora solo come movimento da Maurizio Landini, può fare molto molto male alle prossime elezioni politiche. I risultati reali potrebbero riservare sorprese, eppure il dato della sinistra che se si presenta divisa premia il centrodestra e non riesce a frenare lavanzata di Lega e Movimentoo addirittura il M5S c’è tutto. Come ammette il presidente del Pd Matteo Orfini in un breve punto stampa al Nazareno in attesa di dati più certi: «In Liguria sapevamo che la situazione era complicata, la divisione a sinistra ha pesato non poco e la sfida di Pastorino ha avuto come unico risultato di favorire la destra. Se il risultato è in bilico è perché il centrosinistra si è diviso».
Resta da vedere quali conseguenze questi risultati, una volta che saranno più chiari, avranno sul governo. Un successo dell’operazione di rottura della sinistra in Liguria, assieme a un risultato che si profila come al ribasso rispetto alle europee per il Pd, finirà senza dubbio per rafforzare la resistenza in Parlamento dei bersanian-cuperliani che non hanno votato le riforme costituzionali al Senato e l’Italicum alla Camera. La scuola, le stesse riforme costituzionali saranno alla riapertura delle Camere il primo vero campo di battaglia: se Pier Luigi Bersani vorrà andare fino in fondo nella sua battaglia contro le riforme renziane, senza un ritorno del dialogo su alcuni temi con una Fi rinvigorita dalle regionali a Palazzo Madama si rischia il blocco.
Non c’è dubbio che Renzi e i vertici del Nazareno hanno sottovalutato questo test di medio termine, e il premier e segretario del Pd non ha saputo portare sul territorio il rinnovamento di cui si era fatto paladino vincendo le primarie del Pd prima e le europee dopo. Perdono le sue candidate, Raffaella Paita in Liguria e Alessandra Moretti in Veneto (la sconfitta di Moretti era certo annunciata, ma quei venti punti di vantaggio del governatore uscente Luca Zaia che addirittura doppia la sua avversaria è la prova che la candidatura poteva essere scelta con più attenzione). E vincono invece personalità politiche che certo Renzi non può ascrivere come sue, ossia Vincenzo De Luca in Campania nonostante la fortissima polemica sugli “impresentabili” e Michele Emiliano in Puglia. Per Renzi è urgente porre mano al partito anche a livello territoriale, investendo sulla creazione di una nuova classe dirigente che sia competitiva, e ricucire con la minoranza per tamponare la possibile emorragia a sinistra e portare a termine le riforme in campo. E non è detto che ci riesca.
© Riproduzione riservata