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Dossier Giorgio Ambrosoli assassinato dalla mafia politica

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Giorgio Ambrosoli assassinato dalla mafia politica

Quella che segue è la presentazione del libro “Un eroe borghese - Il caso dell'avvocato Giorgio Ambrosoli assassinato dalla mafia politica” scritto da Corrado Stajano, editato nella Collana Ora Legale e da oggi per una settimana in edicola con il Sole-24 Ore

Avevo 16 anni quando uccisero il Servitore dello Stato Giorgio Ambrosoli. Questo avvocato milanese – che l'ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi definì uno splendido esempio di altissimo senso del dovere e assoluta integrità morale spinti sino all'estremo sacrificio – venne assassinato a Milano l'11 luglio 1979 da un sicario ingaggiato dal banchiere Michele Sindona, sul quale stava indagando nell'ambito dell'incarico di commissario liquidatore della Banca privata italiana che aveva assunto nel settembre 1974.
Quell'omicidio – a me, ginnasiale che divorava libri e giornali come il pane – parve per mero istinto una miscela esplosiva di politica, finanza, Stato, mafia e omertà. Le indagini dimostrarono poi che c'era tutto questo e altro ancora ma c'era anche – e soprattutto – la schiena dritta di un Servitore dello Stato.
Li conoscevo in mio padre quel rigore e quella schiena dritta – ora generale dell'Esercito in pensione, ammesso che un militare possa davvero andarci – e in quella morte così lontana (Milano, per chi, come me, era nato e orgogliosamente cresciuto a Roma, appariva un altro mondo) avevo scoperto che lo Stato poteva contare su altri Servitori dello Stato che mettevano la propria vita a disposizione per il bene comune. Non dovrebbe essere proprio questo il fine ultimo della politica?

Invece, non so perché, ebbi subito l'impressione che la politica e, ovviamente mi riferisco a quella parte marcia e corrotta, godesse di quella morte. Forse mi sbaglio ma è certo che, con il senno del poi, la politica si espose a polemiche memorabili.
L'ex politico Giulio Andreotti dell'avvocato Ambrosoli disse che «se l'andava cercando» salvo poi scusarsi per il fraintendimento. Come monito ad una certa politica, il 7 maggio 2013, il figlio di Giorgio Ambrosoli, Umberto, anche lui avvocato, lasciò l'aula del Consiglio regionale lombardo durante il minuto di silenzio in ricordo di Giulio Andreotti, che era morto il giorno prima. Ambrosoli spiegò con signorilità e nettezza che «non è il caso di fare polemica, è comprensibile che in occasione della morte di una persona che ha ricoperto ruoli di primo piano le istituzioni lo commemorino, ma le istituzioni sono fatte di persone ed è legittimo che ognuno faccia i conti con il significato che alla storia di ciascuna persona si vuole dare. Ci sono lati oscuri della sua vita, verso i quali ciascuno ha sensibilità diverse, questi elementi contano anche nel momento del ricordo che deve essere senza polemiche, né contrasti».
Questo libro ricostruisce la vita di un Servitore dello Stato che lascia un'eredità, ahinoi, raccolta da pochi nelle Istituzioni.

Del resto non è da tutti avere la forza, la lucidità, il coraggio e la fermezza di scrivere, il 25 febbraio 1975, alla propria moglie una lettera-testamento di questo tenore: «Anna carissima, sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I. (Banca Privata Italiana nda) atto che ovviamente non soddisfarà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente di ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E' indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il Paese [... ] Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ]».
Gli stessi valori nei quali crediamo.

r.galullo@ilsole24ore.com

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