3/5 Pensione «flessibile» / Il ritorno delle quote
Età più contributi senza penalizzazioni
Le quote sono state superate dalla riforma Monti-Fornero, anche se taluni lavoratori possono continuare ad accedere alla pensione di anzianità se impiegati in catene di montaggio, lavori notturni e similari. Oggi è possibile andare in pensione anticipatamente, rispetto al requisito anagrafico di vecchiaia, con 41 anni 6 mesi di contributi per le donne, 42 anni 6 mesi per gli uomini. La proposta di legge 2945, presentata dall'ex ministro Cesare Damiano quale primo firmatario, prevede la possibilità di accedere alla pensione – per i lavoratori dipendenti pubblici e privati - con quota 100 con almeno 62 anni di età e 35 anni di contributi limitatamente al periodo 2016/2021.
Per i lavoratori autonomi la somma è elevata a 101 con una età anagrafica non inferiore a 63 anni. Tuttavia tale possibilità dovrebbe essere integrata da una penalità applicata sull'importo del trattamento pensionistico che subirebbe una decurtazione del 2-3% per ogni di anticipo rispetto all'età ordinariamente prevista (vedi altro articolo in pagina). Un intervento analogo fu disposto nel 1994 (legge 537/1993). La penalità era pari all'1% se mancava un anno per raggiungere i 35 anni di contributi e saliva fino al 35% se gli anni mancanti erano quindici.
L'obiettivo principale, infatti, deve essere quello di introdurre strumenti di flessibilità nel sistema pensionistico lasciando al lavoratore la possibilità di decidere quando uscire, valutando il costo della propria decisione. Un'altra proposta di legge presentata il 12 marzo scorso (numero 2955 primo firmatario Emanuale Prataviera) prevede un'età anagrafica di almeno 58 anni oppure un'anzianità contributiva di 35 anni con l'ulteriore condizione che la somma di questi due elementi raggiunga almeno quota 100. Ciò equivale a dire che nel primo caso occorrono almeno 42 anni di contributi (requisito oggi richiesto per il pensionamento anticipato) mentre nel secondo almeno 65 anni di età. Risulterebbe di aiuto per quei lavoratori che si trovano nel mezzo e che riuscirebbero a perfezionare un diritto a pensione immediato invece che rimanere al lavoro per altri anni. È il caso della persona con 60 anni di età e 40 anni di contributi, che oggi si trova a dover lavorare altri 2 anni e 10 mesi in più.
La proposta di legge non prevede limiti nell'applicazione temporale, a differenza della precedente, e comporta altresì il blocco della speranza di vita per un triennio dalla data di entrata in vigore della norma. Infatti dal prossimo anno i requisiti anagrafici e contributivi per l'accesso alla pensione subiranno un ulteriore aumento di 4 mesi legato all'incremento della speranza di vita. L'impatto finanziario di queste proposte appare troppo gravoso ed è necessario che qualsiasi intervento decida di mettere in atto il Parlamento, tenga in considerazione un'uscita graduale da parte di quei lavoratori che – oggi privi di diritto a pensione - per effetto della rivisitazione dei requisiti potrebbero accedervi immediatamente. E non c'è motivo di pensare che non lo facciano.
In pensione prima anche senza lavorare
In base alle regole attuali, una lavoratrice dipendente che ha oggi 60 anni di età e 38 anni di contributi, potrà lasciare il suo impiego nel 2018 con la pensione anticipata, al raggiungimento del requisito di 41 anni e 10 mesi di contributi. In base al progetto di legge Damiano, questa lavoratrice uscirebbe nel 2017 avendo 62 anni di età, 40 anni di contributi e perfezionando quota 100.
Con il progetto di legge 2955 uscirebbe nel 2016, con 61 anni di età e 39 di contributi sommando quota 100. Se queste proposte diventassero operative e se la lavoratrice del nostro esempio decidesse, utilizzando le “aperture” contenute nei Ddl, di lasciare il lavoro nel corso di quest'anno, maturerebbe il diritto a pensione nel 2017, perfezionando comunque quota 100.
Il numero chiave: quota 100, il minimo
La somma tra età e contributi per smettere di lavorare
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