2/5 Pensione «flessibile» / La staffetta generazionale
Orario ridotto e pensione per far entrare nuove leve
L'uscita dei lavoratori prossimi alla pensione porta la necessità di formare nuove generazioni che vadano a sostituire quelli più anziani. Con la staffetta generazionale, citata più volte dal ministro Poletti negli ultimi giorni si può prevedere la possibilità di sostituire una parte delle persone che maturano i requisiti pensionistici con l'ingresso di giovani. Così facendo si riuscirebbe a incrociare il tema dell'occupazione giovanile e dell'investimento in conoscenza delle imprese.
In tale contesto inoltre si lega la questione dei lavoratori socialmente utili (Lsu) che dovrebbero essere utilizzati su percorsi di uscita e di invecchiamento attivo. Già alla fine degli anni Novanta, nel pubblico impiego, era stata prevista una norma (poco utilizzata) che potrebbe essere riutilizzata in questa occasione. La Finanziaria del governo Prodi (legge 662/1996) aveva previsto l'emanazione di norme regolamentari per la definizione dei criteri e delle modalità applicative delle disposizioni concernenti il trattamento di pensione e di anzianità e, in deroga al regime di non cumulabilità previsto per il pubblico impiego, il passaggio al rapporto di lavoro a tempo parziale nei confronti del personale delle amministrazioni pubbliche.
Tali lavoratori, naturalmente, beneficiano di una pensione ridotta in misura corrispondente alla percentuale di part time di lavoro svolto presso l'ente. In pratica incasserebbero una pensione ridotta e uno stipendio per la prestazione lavorativa. Il tutto a beneficio delle casse dell'Inps, che pagherebbe – in un primo momento - una pensione più bassa e continuerebbe a incassare i contributi sulla parte di stipendio erogata all'interessato, oltre alla parte relativa alla retribuzione del neo assunto. Se tale soluzione potrebbe essere di aiuto per il settore privato (non solo nei settori ad elevato apporto artigianale), nel pubblico impiego sarebbe necessario rivedere le modalità con le quali è possibile effettuare assunzioni a tempo indeterminato. Naturalmente, una volta che il lavoratore-pensionato decidesse di cessare definitivamente il proprio rapporto di lavoro si vedrebbe ricalcolare il trattamento pensionistico, considerando anche le ulteriori retribuzioni percepite. Finora la norma è applicabile a condizione che il lavoratore abbia già raggiunto un diritto a pensione.
Considerando le elevate anzianità contributive oggigiorno richieste per il pensionamento anticipato e il requisito anagrafico di 66 anni 3 mesi per il conseguimento di quello di vecchiaia, il ricorso a tale istituto potrebbe risultare poco allettante. Tuttavia l'utilizzo di questa possibilità potrebbe essere incentivato prevedendo la trasformazione incentivata (o obbligata) a part time quando al lavoratore mancano un certo numero di anni per la pensione, così da garantire l'ingresso di nuove leve. L'aspetto finanziario da valutare è quello di garantire copertura piena – o integrata – affinché il trattamento pensionistico erogato alla cessazione sia in linea con quello che il lavoratore avrebbe maturato se non fosse andato in part time.
Tutto a metà
Un lavoratore con uno stipendio mensile lordo di 1.700 euro potrebbe contare su una pensione teorica spettante al momento della trasformazione del suo impiego in part time, per effetto della staffetta generazionale, di 1.600 euro lordi. Questa persona decide, però, di lavorare ancora per altri tre anni al 50 per cento, incassando di conseguenza uno stipendio mensile lordo di 850 euro. La pensione che verrebbe messa in pagamento, nei tre anni di part time, sarebbe di 800 euro al mese.
Occorrerebbe altresì stabilire un tetto retributivo che non può essere superato dal cumulo dello stipendio e della pensione. Al termine del periodo di part time l'importo della liquidazione definitiva della pensione sarebbe pari a 1.600 euro più la quota maturata durante i tre anni.
Il numero chiave: 50%, part time
La staffetta generazionale prevede una minor presenza in azienda
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