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A Nord l’accoglienza non si ferma

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Attualità

A Nord l’accoglienza non si ferma

I diktat di Bobo Maroni e di Luca Zaia ai sindaci lombardi e veneti sugli immigrati? Operazione mediatica. Per capirlo basta venire a Vicenza, con la piazza palladiana dei Signori immersa in un pomeriggio italiano, la loggia del Capitanio con le sue bandiere al vento e le signore americane (a Vicenza c’è una delle più grandi basi americane in Europa) elegantemente vestite di nero che chiacchierano nei caffè.

Ai due estremi della piazza ci sono i separati in casa, il sindaco del Pd Achille Variati e il prefetto della Repubblica Eugenio Soldà. Da oltre un anno, nel pieno dell’emergenza Mare Nostrum, Variati ha smesso di partecipare alle riunioni convocate dal prefetto per accogliere i migranti via via assegnati dal Viminale. Variati, democristiano purosangue e renziano della prima ora, lo dice con la fermezza un po' curiale dei vicentini: «Questo governo, così come quelli che l’hanno preceduto, trasforma un popolo di disperati in un popolo di clandestini. È un sistema fallimentare, impossibile collaborare». Variati è in buona compagnia: nella provincia di Vicenza tutti i 121 Comuni si sono sfilati, con l’eccezione di Marostica e Montegalda. Stessa epidemia su scala regionale , indipendentemente dai colori politici dei sindaci. Conferma Mario Rosa Pavanello, sindaco di Mirano e presidente dell’Anci Veneto: «Guardi che il Veneto non è la Sicilia. Noi ci rifiutiamo di attrezzare le palestre con i bagni chimici. Quella non è accoglienza». Muro contro muro, insomma. Prova ne è che dalla fine di aprile la Prefettura di Venezia, che coordina gli interventi in tutta la Regione, ha smesso di convocare i sindaci. L’ultimo vertice regionale, per ammissione della Pavanello, risale alla fine di aprile. Con molte seggiole vuote o occupate dai delegati dei delegati.

Eppure i migranti continuano ad arrivare. Negli ultimi tre mesi oltre 3.200 solo in Veneto. Il prefetto Soldà è sereno. «Noi andiamo avanti per la nostra strada. I prefetti prendono ordini solo dal ministero degli Interni. Variati? Lui fa il sindaco, è un politico. Io, non appena ricevo l’ordine degli arrivi da Roma, diramo i bandi alle quattordici cooperative sociali sul territorio. In questo momento abbiamo 634 residenti su 790 posti disponibili». Il sistema funziona. Bypassando completamente i sindaci. Ecco perché le minacce dei governatori sui primi cittadini sono solo folclore. L’accoglienza è gestita sul territorio direttamente dai prefetti e dalle cooperative sociali, alle quali si sommano l’associazionismo cattolico, le Caritas e le fondazioni. Con il paradosso che alle volte sono i sindaci leghisti o quelli più vicini alla Lega che si spendono di più. Racconta Silvio Bazzara, della cooperativa “Con te”: «A Bolzano vicentino, seimila abitanti e 60 extracomunitari, i migranti danno una mano volontariamente nella biblioteca del Comune e nella cura del verde».

Le buone pratiche delle cooperative non si contano. La Coop Cosmo di Vicenza ha accolto 42 ragazzi dell’Africa subsahariana dai 18 anni ai 30 anni che studiano italiano, lavorano e fanno volontariato. Dice Valentina Baliello, la coordinatrice del progetto: «Per loro abbiamo preso in affitto nove appartamenti. Sono ragazzi volenterosi e intelligenti, alcuni laureati, uno parla sei lingue e ha imparato l'italiano in due mesi. Ci implorano di lavorare e fanno di tutto pur di rendersi utili». Per accompagnare la loro integrazione sono state assunte sei persone, tra le quali la Baliello, 30 anni e neo sposa grazie al «primo contratto a tempo indeterminato della mia vita coerente con la laurea in Relazioni internazionali». I famosi 35 euro al giorno per migrante girati dalle prefetture alle coop generano un’economia, dagli affitti ai posti di lavoro. Nel mare magnum dei migranti c’è di tutto. Compresa un’associazione cattolica vicentina, la Astalli, che li accoglie a patto che siano cristiani e con titolo di studio. «Loro si prendono il meglio» commenta Bazzara. Al quale invece sono toccati in sorte un gruppo di ragazzi analfabeti di Mali, Somalia e Burkina Faso.

Il loro destino sarà uguale a quello dei laureati. Il prefetto Soldà lo dice chiaro. «Solo uno su dieci ottiene lo status di rifugiato politico». È solo questione di tempo. Prima o poi il popolo dei migranti sarà condannato alla clandestinità. I cooperanti raccontano la via crucis della commissione di valutazione che decide chi entra e chi esce. Il tempo medio d’attesa è un anno, ma poi quelli scartati, la stragrande maggioranza, fanno ricorso al tribunale ordinario. Racconta Bazzara: «A questo punto i tempi d’attesa si fanno biblici. Due o tre anni, che sommati ai 12 mesi per la decisione di primo grado fanno un pacchetto di quasi quattro anni. Fossi nel Governo, investirei nelle commissioni: si deve velocizzare il processo, altrimenti si crea un limbo, una terra di nessuno». Variati racconta come si è arrivati a questo stallo. «Con l’Anci nazionale proponemmo al governo una divisione dei compiti. Allo Stato la prima accoglienza e l’identificazione, alle Comunità locali la seconda fase dell’accoglienza e l’integrazione. Ponemmo una sola condizione: che i migranti potessero lavorare e guadagnarsi l’ospitalità. Ci risposero di no: impossibile farli lavorare. Lì è crollato tutto».

La morale è disarmante: l’Italia li accoglie, li lava, li veste, li sfama e gli insegna l’italiano. Dura come una laurea breve, tre anni più uno fuori corso. Gratis et amore dei. Lavorare? No, per carità. Pensiamo a tutto noi. Poi arriva il verdetto: ragazzi, abbiamo scherzato. Da oggi siete clandestini.

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