Vedere un bimbo eritreo specchiare il proprio volto affaticato, affamato, consumato e sporco nelle luccicanti vetrine della stazione Termini è la proiezione perfetta della civiltà incivile. La politica e la solidarietà europea sono ormai parcheggiate nelle grandi stazioni ferroviarie italiane. Da Roma a Milano. Una immagine di vero degrado che la storia ricorderà all'Europa, l'Europa sorda all'emergenza che si sta consumando in Italia.
Centinaia di persone, che dagli inferni di questo mondo hanno attraversato con coraggio il loro destino per continuare a sopravvivere, si sono trovate, una volta arrivate a quella che nel loro immaginario era la “Salvezza Europa”, di fronte a un più efferato nemico. Ancor più della guerra, del deserto o del profondo Mar Mediterraneo. Quello della indifferenza e del cinico egoismo umano che è capace di annientare ogni speranza e di bruciare il tempo con l'attesa.
Vedere nelle stazioni ferroviarie - il simbolo per eccellenza del viaggio e della speranza - quelle centinaia di persone con bambini, sdraiati e sfiancati, divorati dal nulla e senza più paura di nascondersi e mimetizzarsi per paura di essere rimpatriati all'inferno, è la fotografia più agghiacciante del fallimento dell'Europa come comunità. Prima di tutto umana e poi europea. È il grido di dolore forte e silenzioso. Il grido di chi ormai ha fatto tutto, rischiando la propria vita per arrivare in Europa, ma che poi alla fine se la può guardare solo da fuori. Dalla vetrina.
Quelle centinaia di persone evidenziano che ormai la situazione in Italia è fuori controllo. Forse è il caso che l'Italia non faccia più solo la voce grossa, visto come stanno reagendo i paesi europei, a suon di spallucce, mentre qui, la situazione è sempre più drammatica. Forse questa volta è giunto davvero il momento dell'incidente diplomatico. Di forzare davvero la mano. Di liberare queste persone dalla sala di attesa della stazione ferroviaria e lasciare loro proseguire il viaggio in Europa. La responsabilità di gestire questi flussi è europea e non solo italiana, ma se gli Stati europei continuano a fare orecchie da mercante, allora forse è il caso di cambiare registro. Nell'interesse dell'Italia e di queste centinaia di persone ormai recluse nel nostro paese, perché per qualche cinico è preferibile leggere la cronaca delle loro storie dai giornali piuttosto che prendersi la responsabilità di vederli negli occhi.
Facciamo per bene il nostro dovere, in tutte le regioni d'Italia, per non avere nulla da rimproverarci, ma costringiamo gli altri paesi a prendersi la responsabilità di rispondere a questa emergenza. Questa volta non solo a parole. Liberiamo le persone dalle sale d'attesa.
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