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E la manovra viaggia verso quota 20 miliardi

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L’ANALISI

E la manovra viaggia verso quota 20 miliardi

Tra effetti delle sentenze della Consulta, azioni per la crescita da rifinanziare (in primis la decontribuzione per i nuovi assunti), interventi annunciati ma tutti da verificare sul campo come la flessibilità in uscita sul fronte della previdenza, la lista degli impegni finanziari da inserire nella prossima legge di stabilità si va allungando di giorno in giorno. Tanto che fin d’ora è possibile ipotizzare una manovra lorda non molto lontana dai 20 miliardi.

Il conto è presto fatto. La spending review parte già, a bocce ferme, con un volume di fuoco da 10 miliardi, destinati a sostituire le clausole di salvaguardia che altrimenti scatteranno dal prossimo anno sotto forma di aumento dell’Iva e delle accise, cui andranno aggiunte ulteriori risorse perché gli importi in gioco sono di 12,8 miliardi il prossimo anno, 19,2 miliardi nel 2017 e 22 miliardi a decorrere dal 2018 (nel totale le varie clausole ammontano a oltre 70 miliardi da qui al prossimo triennio). La manovra del 2016 dovrà altresì provvedere alla copertura degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale sulla cosiddetta Robin tax per circa 700 milioni, cui andranno aggiunti i 500 milioni per la copertura a regime dell’altra sentenza che ha bocciato il blocco biennale (2012-2013) della perequazione automatica delle pensioni di importo superiore a tre volte il minimo Inps. I 2,2 miliardi stanziati per l’anno in corso saranno corrisposti ad agosto sotto forma di una tantum. E ora, dulcis in fundo, alla luce della nuova sentenza della Consulta di due giorni fa, occorrerà provvedere con la legge di stabilità allo stanziamento per far fronte ai rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici. Le cifre in gioco sono evidentemente condizionate all’esito del negoziato con i sindacati, che in ogni caso il governo intende connettere alla riforma della Pa in via di approvazione da parte del Parlamento. Per ora fanno testo gli importi inseriti nel Documento di economia e finanza, confermati dalla Corte dei Conti, in base ai quali l’impatto potenziale sui conti pubblici è pari a 1,66 miliardi nel 2016, con un effetto cumulato di 6,6 miliardi nel triennio 2016-2018.

La Corte dei Conti, nel «Rapporto 2015 sul coordinamento della finanza pubblica» pubblicato in maggio, conferma che il quadro «a politiche invariate» tiene conto «degli effetti derivanti dall’avvio della contrattazione collettiva per il triennio 2016-2018 e per quello successivo». Gli effetti finanziari della ripresa della contrattazione – osservano i giudici contabili – vengono stimati applicando una metodologia «che tiene conto della media degli incrementi retributivi negli ultimi anni interessati dal rinnovo dai contratti». Una stima che la stessa Corte dei Conti definisce «prudenziale». Sia la proroga della decontribuzione per i nuovi assunti che le norme allo studio sulla flessibilità in uscita producono anch’essi effetti sui conti pubblici: da 1 a 1,5 miliardi per la decontribuzione, mentre per la previdenza tutto dipenderà dalla scelta finale. Le ipotesi emerse finora (la proposta Damiano-Baretta e “quota 100”), comporterebbero secondo l’Inps oneri a regime tra 8,5 e 10 miliardi.

Ed eccoci allora all’interrogativo di partenza: come finanziare tale mole di risorse? La strada maestra dovrebbe ancora una volta riportare il baricentro sulla spending review, la cui dote dovrebbe essere potenziata. Il resto potrebbe essere ricavato dai margini aperti dalla clausola di flessibilità europea sulle riforme (6,4 miliardi) dopo una preventiva trattativa con Bruxelles, perché al momento non è affatto scontato che quel margine ricavato tra l’obiettivo richiesto di riduzione del deficit strutturale (0,5%) e il target concesso al nostro paese nel 2016 (0,1%) possa essere utilizzato per finanziare nuova spesa corrente. L’interrogativo maggiore riguarda proprio la spending review.

La Corte dei Conti, in linea peraltro con quanto ha sostenuto l’Ufficio parlamentare di bilancio, lo ha rilevato ieri con precisione nella Relazione sul rendiconto generale dello Stato per il 2014: lo sforzo condotto nel 2010-2014 sul versante del contenimento della spesa, coniugato con la «forte rigidità» della componente pensionistica e l’evidenza di «margini sempre più ristretti di risparmi potenziali nelle maggiori categorie della spesa finale», pone in luce le «difficoltà oggettive dei programmi di spending review». Si può aggiungere che i tagli alla spesa devono essere ben calibrati per evitare effetti recessivi, nella consapevolezza che la vera spending è il recupero di efficienza dell’intera macchina pubblica e che una delle priorità è rimettere mano alla spesa per investimenti che nel biennio 2013-2014 ha subito un taglio cumulato per le amministrazioni del 15 per cento.

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