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«Letta incapace». Un caso la telefonata di Renzi

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Politica

«Letta incapace». Un caso la telefonata di Renzi

ROMA

«Lui non è capace, non è cattivo, non è proprio capace. E quindi... Però l’alternativa è governarlo da fuori... Lui sarebbe perfetto come presidente della Repubblica, gliel’ho anche detto ieri. L’unico problema è che bisogna aspettare agosto 2016. Quell’altro non ci arriva capito? Me l’ha già detto. Quell’altro, il numero uno, nel 2015 vuole andare via...».

È l’11 gennaio 2014. A parlare al telefono con il generale Michele Adinolfi, allora comandante interregionale dell’Italia centro-settentrionale a Firenze ed oggi numero due della Guardia di Finanza, è Matteo Renzi. Da circa un mese (le primarie sono dell’8 dicembre precedente) segretario del Partito democratico e non ancora presidente del Consiglio. Il “lui” di cui si parla nella telefonata è Enrico Letta, che resterà a Palazzo Chigi per neanche un mese. La conversazione è stata pubblicata ieri dal Fatto quotidiano, giornale non certo amico dell’attuale premier. Renzi risulta intercettato parlando da un’utenza nella sua disponibilità intestata alla fondazione «big Bang» nell’ambito dell’inchiesta della Procura napoletana su Cpl Concordia. Adinolfi è allora indagato per una presunta fuga di notizie, e il caso sarà poi archiviato su richiesta dello stesso pm Henry John Woodcock. Negli atti dell’inchiesta napoletana a disposizione del quotidiano diretto da Marco Travaglio ci sono anche intercettazioni che chiamano in causa Giulio Napolitano, figlio del presidente Giorgio.

Sono i giorni in cui Letta e Renzi si incontrano per definire la fase due del governo presieduto da Letta, e più si incontrano più il gelo aumenta. Renzi di lì a poco sceglierà, con l’appoggio di quasi tutto il Pd compresa la minoranza che si raccoglie attorno a Gianni Cuperlo, di andare direttamente a Palazzo Chigi al posto di Letta. Ma l’11 gennaio la scelta non è ancora compiuta in modo definitivo, gli stessi renziani doc si dividono (con Guerini e Delrio più favorevoli all’ipotesi “staffetta” e con Nardella più scettico), e sul tavolo c’è anche l’alternativa di un «rimpastone», ossia dell’ingresso di renziani di peso nel governo Letta con un programma di riforme più incisivo. Proprio di «rimpastone» parla Renzi nella telefonata con Adinolfi. «Rimpastone, no rimpastino... Poi vediamo, magari mettiamo qualcuno di questi ragazzi dentro nella squadra, a sminestrare un po’ di roba. Purtroppo si fa così», dice Renzi. E in un altro passaggio: «Buttare all’aria tutto secondo me alla lunga sarebbe meglio per il Paese perché lui è proprio incapace».

Nei giorni successivi Renzi proverà a proporre al suo rivale l’onore della armi per una “staffetta” condivisa. Oltre all’ipotesi della presidenza della Repubblica - ipotesi subito sfumata per l’ancora giovane età di Letta e per l’indisponibilità dell’allora Capo dello Stato Napolitano di restare fino all’estate del 2016 - Renzi secondo le ricostruzioni dell’epoca propone a Letta anche la strada europea: la presidenza della Commissione Ue nel caso in cui avessero vinto i socialisti alle elezioni del maggio 2014 (cosa poi non avvenuta) o in alternativa il posto di Mr Pesc ora occupato da Federica Mogherini. Ma i rapporti tra i due sono destinati a degenerare.

«Cosa penso delle frasi e dei comportamenti di Renzi rivelati oggi dal Fatto quotidiano? Si commentano da soli». si limita a dire Letta, in procinto di lasciare il Parlamento (il 16 luglio l’Aula della Camera voterà sulle sue dimissioni) per dedicarsi all’attività accademica. Mentre il Movimento 5 Stelle chiede che il governo riferisca in Parlamento: «È una repubblica fondata sul ricatto, una situazione inaccettabile non degna di un Paese civile». Da Palazzo Chigi nessun commento ufficiale sulla vicenda. Ma c’è chi legge come ulteriore stoccata al suo predecessore quanto scritto da Renzi su Facebook a commento dei dati economici positivi resi pubblici ieri dall’Istat (si veda pagina 15): «La strada è tracciata da un pacchetto di riforme così significativo da non avere precedenti. Rimane l’amarezza: se queste riforme le avessero fatte quelli prima di noi, la nostra economia oggi sarebbe più forte».

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