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Costa Concordia: l’inchino fu una scelta criminale

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le motivazioni della sentenza di febbraio

Costa Concordia: l’inchino fu una scelta criminale

«La scelta, si passi il termine, criminale è stata quella a monte di portare una nave, con quelle caratteristiche e a quella velocità, così in prossimità dell'isola». Lo scrivono i giudici parlando dell'inchino nelle motivazioni della sentenza con cui a febbraio Francesco Schettino è stato condannato a 16 anni di reclusione e un mese di arresto per il naufragio della Costa Concordia. Per risalire alle cause del naufragio della Costa Concordia e alla morte dei 32 passeggeri bisogna concentrare l'attenzione su due momenti: l'impatto della nave con lo scoglio davanti all'Isola del Giglio e la gestione dell'emergenza dopo l'incidente. E per i giudici del tribunale di Grosseto, il principale responsabile di ciò che avvenne in entrambe la fasi fu il comandante Francesco Schettino. Per questo lo hanno condannato a 16 anni di reclusione. Nessun rilievo alla nave, invece: la Concordia «era pienamente conforme alle prescrizioni, sotto il profilo del funzionamento e dell'efficienza dei sistemi di sicurezza».

La responsabilità è di Schettino
«La responsabilità del naufragio è pertanto di Schettino». Francesco Schettino, si legge, abbandonò la Costa Concordia e «lasciò i passeggeri in balia di se stessi». Secondo quanto depositato oggi al Tribunale di Grosseto, l'allora comandante della Concordia Francesco Schettino quando salì «sulla scialuppa per abbandonare la nave», sapeva che «c'erano altre persone a bordo della nave». L'ex comandante, per i giudici, ha indugiato al punto che «quando è stata data l'emergenza generale, la situazione a bordo era scivolata verso un'estrema confusione e assenza di univoche indicazioni, con conseguente caos diffusosi tra equipaggio e passeggeri». E quando scese dalla nave, Schettino aveva «la precisa intenzione di non risalirvi».

Una parziale attenuante
Nella sentenza di condanna di Francesco Schettino per il naufragio della Costa Concordia all'isola del Giglio, c’è anche una parziale attenuante, per il reato di abbandono: l'ex comandante era «sopraffatto dal terrore di morire». E, questo, per i giudici di Grosseto, è una «ragione meno riprovevole» di altre. Il tribunale riassume anche «l'invito dell'imputato alla Cemortan e a Ciro Oronato di mettersi in salvo mentre si trovavano tutt'e tre sul lato destro della nave» e ne deduce che «se Schettino avesse avuto in mente già in quel momento di abbandonarla, lo avrebbe fatto insieme a loro». Per la sentenza «appare dunque più probabile che il comandante in quei drammatici momenti, non avesse un'idea precisa di come comportarsi, forse ancora speranzoso che la nave potesse stabilizzarsi sulla scogliera. Qualche minuto dopo però nel momento in cui la Concordia registrava un improvviso sbandamento, egli era tutt'a un tratto sopraffatto dal terrore di morire e, non riuscendo a dominare il proprio istinto, decideva di abbandonare la nave nonostante vi fossero ancora a bordo centinaia di persone». «Preda di tale paura, egli si allontanava, pronto a mentire alla Capitaneria, accampando scuse fantasiose pur di non farvi più ritorno», scrivono ancora i giudici.

Nessuna vittima se l’allarme fosse stato dato in tempo
Se l'evacuazione della Costa Concordia fosse avvenuta prima di mezzanotte, e quindi con un margine di oltre due ore dall'impatto con l'isola del Giglio, non ci sarebbero stati morti: è una delle conclusioni cui arrivano i giudici del tribunale di Grosseto, nelle motivazioni di condanna dell'ex comandante Francesco Schettino. «Si può concludere che le trentadue vittime - si legge nella sentenza - trovavano morte per asfissia da annegamento». «È inoltre possibile collocare temporalmente l'entrata in acqua di tutte le vittime nei quaranta minuti successivi alla mezzanote. In particolare, alcune di esse scivolano in acqua durante lo spostamento dal lato sinistro al lato destro della nave». Se Schettino «avesse gestito l'emergenza con perizia e diligenza», ci sarebbe stato tutto il tempo per dare l'evacuazione quando la nave era ancora poco inclinata. Fu l'inclinamento accentuato a impedire la discesa delle scialuppe, ricordano i giudici, dal lato sinistro e a costringere molti passeggeri a cambiare lato.

Dopo l’impatto “fuga dalla realtà”
Dopo l'urto della Concordia con gli scogli davanti al Giglio l'ex comandante Francesco Schettino iniziò a «non accettare nemmeno che la nave, a causa del guaio che aveva combinato, potesse essere perduta, nonostante le drammatiche informazioni che riceveva dalla sala macchine». Per i giudici proprio «questa “fuga dalla realtà” ha provocato quei ritardi risultati decisivi nella gestione dell'emergenza». Tra l'altro i decessi delle 32 persone, «e le lesioni personali contestate», non si sono verificate per l'impatto con gli scogli, «bensì - spiegano ancora i giudici - nella fase successiva della gestione dell'emergenza, innescata dalla condotta gravemente colposa» di Schettino che portò anche al ritardo della stessa chiamata di emergenza. Per quanto riguarda la 'fuga' dalla nave da parte dell'ex comandante, nelle 553 pagine delle motivazioni più volte si ribadisce come a lui vennero date notizie sulla presenza di «decine di persone a bordo», sia dal comandante della Capitaneria Gregorio De Falco sia in precedenza da altri membri dell'equipaggio. Il comportamento dell'ex comandante della Concordia «dimostra che l'imputato, pur di mettersi in salvo era intenzionato a lasciare la nave a tutti i costi, ivi compreso quello di abbandonare a se stesse le persone ancora a bordo», hanno spiegato i giudici.

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