Italia

Padoan: «Percorso difficile, erano quasi tutti con la…

  • Abbonati
  • Accedi
intervista SU GRECIA ED EUROzona

Padoan: «Percorso difficile, erano quasi tutti con la Germania»

«Difficile, è un processo ancora difficile» Pier Carlo Padoan (nella foto) è reduce dall’ennesima riunione «non conclusiva» dell’Eurogruppo. È soddisfatto per «lo scampato pericolo», ma non ha alcuna voglia di festeggiare. Il tono della voce riflette perfettamente l’insistenza su quelle poche parole: «È ancora difficile».

Ministro, si fa davvero fatica a ritrovare un minimo di spirito europeo in questa due giorni di riunioni defatiganti. Ci aiuta a capire come è finita (per ora ovviamente)?
La conclusione che si può trarre è che abbiamo evitato il peggio. Ma da oggi inizia un percorso molto complesso, dall’esito tutt’altro che scontato. I greci dovranno approvare immediatamente misure importanti in Parlamento, poi potrà partire il negoziato vero e proprio per un memorandum of understanding, quindi bisognerà finalizzare le misure. È un processo complesso, politicamente e tecnicamente.

Intanto c’è l’emergenza di prestiti che Atene deve restituire già entro il 20 luglio. Come si farà fronte a questa esigenza immediata?
È quello di cui abbiamo parlato nella riunione di oggi (ieri per chi legge, ndr) dell’eurogruppo. Serve un bridge financing, un prestito ponte, del valore stimabile intorno ai 6-7 miliardi.

Nella bozza d’intesa si parla di una cifra urgente da finanziare di 8 più 5 miliardi. In totale sono 13.
Sono cifre variabili. Dipendono anche dalla durata del negoziato. È chiaro che più si protrae la discussione e più scadenze vengono a maturazione. E quindi la cifra aumenta. Ieri abbiamo ragionato su questi 6-7 miliardi.

Il problema è attraverso quale canale prestarli alla Grecia...
È quello che stiamo studiando. E abbiamo deciso di affidare la questione a un gruppo di lavoro tecnico. C’è anche l’ipotesi di ricorrere a risorse disponibili che fanno capo all’Unione europea e non all’Eurozona, ma dobbiamo capire la praticabilità di questo percorso.

Tra i nodi c’è quello di evitare che questi fondi pesino sui bilanci dei singoli Stati. Giusto?
Certo. L’obiettivo è di non andare a incidere sull’indebitamento dei vari Paesi. Anche perché altrimenti dovremmo andare in Parlamento per farci votare un assestamento di bilancio e i tempi inevitabilmente si allungherebbero. Non penso che possiamo permettercelo.

Tra i fondi emergenziali da garantire ci sono quelli per la liquidità bancaria attraverso la Bce. Non è un mistero che nella notte si è arrivati anche uno scambio duro tra il ministro tedesco Wolfgang Schäuble e Mario Draghi. Dopo questo accordo la Bce può o no riaprire i rubinetti dell’Ela?
La Bce ha il mandato per garantire il livello di impegno attuale, ma la garanzia politica per riaprire il rubinetto alle banche ancora non c’è. Bisogna aspettare l’approvazione di queste prime misure.

Lei si aspettava un atteggiamento così duro da parte della Germania e di altri Paesi?
Che la posizione tedesca fosse rigida lo sapevamo, sì. Quello che forse mi ha sorpreso è di vedere quanto ampio fosse lo schieramento di Paesi che condividevano quella linea. Erano quasi tutti contrari a un nuovo programma. Alla fine solo noi, i francesi e la piccola Cipro eravamo per un compromesso. Questo forse non lo si è capito bene. Perciò ritengo che sia stato un successo negoziale anche nostro aver portato a casa questo risultato.

Per la verità l’Italia sembra essere scomparsa nei giorni più difficili del negoziato...
Può essere sembrato, ma le assicuro che non è stato così. L’efficacia diplomatica non si calcola sulla base dei titoli dei giornali e le garantisco che, al di là della diversa esposizione mediatica, sull’esito finale ha inciso non poco la posizione italiana.

Lei sottolinea che il processo è solo avviato e che il percorso è ancora difficile. L’Italia in questa situazione che rischi corre?
Diciotto mesi fa rischiavamo di gran lunga di più. Oggi abbiamo fatto riforme importanti, che ci vengono riconosciute da tutti, e stiamo ritrovando un percorso di crescita. Perciò siamo molto più al sicuro. Lo stesso è accaduto negli altri Paesi che hanno fatto le riforme strutturali. Questa è la strada su cui dobbiamo proseguire con determinazione.

A un certo punto ha davvero temuto che si potesse arrivare a Grexit?

Di sicuro c’era, come le dicevo, un ampio fronte contrario a un nuovo programma. Oggi non possiamo dire che questo programma ci sia, ma c’è stato un impegno ad aprire un negoziato se talune condizioni saranno soddisfatte nei prossimi giorni. È un risultato importante, di cui dobbiamo essere soddisfatti.

Ma le misure imposte alla Grecia non rischiano di essere eccessivamente sbilanciate, ancora una volta, sul rigore finanziario a scapito degli investimenti produttivi?
Non porrei la questione in questi termini. Noi sappiamo bene che la Grecia deve ritrovare un percorso di crescita. Ma proprio per questo nel documento sono contenute quelle riforme strutturali che consentiranno al Paese di tornare ad avere un’economia in grado di camminare da sola. Quello approvato è un programma che serve alla Grecia.

Le riforme strutturali sono fondamentali, ma c’è un forte inasprimento fiscale e le risorse destinate agli investimenti produttivi sono una minima parte degli aiuti.
Non prevediamo tagli di spesa produttiva. Eppoi le riforme strutturali devono servire proprio a mettere in moto gli investimenti privati. La ricetta è quella di creare un ambiente favorevole agli investimenti privati, nella consapevolezza che in un Paese così indebitato gli investimenti pubblici sono per forza limitati. Eppoi puntiamo a rimettere in piedi il sistema bancario: questo è un punto fondamentale per tornare ad alimentare gli investimenti.

Certamente un Paese con un bilancio così malridotto non può disporre di risorse pubbliche importanti da investire. Ma il problema è proprio quello: l’Unione europea quelle risorse invece può averle, tuttavia gli egoismi nazionali non permettono di utilizzare adeguatamente questa strada.
Abbiamo il piano Junker, che va proprio in questa direzione.

Ma non basta. Non andrebbero riconsiderati strumenti di mutualizzazione dei debiti o project bond innovativi per rafforzare la condivisione e rilanciare gli investimenti?
La mutualizzazione delle risorse è una componente essenziale di una unione monetaria. Ma in assenza di una unione politica ci vuole grande fiducia reciproca, ed è proprio quella che ora manca. Anzi, è la fiducia la prima vittima di questa crisi.

Appunto. Dopo questo primo compromesso, non c’è la questione più ampia che va affrontata di una riforma delle regole di governance dell’eurozona e del rafforzamento dell’unione politica?
Sì. L’ho detto e l’ho scritto in tempi non sospetti: siamo a metà del guado e lì non possiamo restare. O andiamo avanti o torniamo indietro. Ce ne stiamo occupando.

Tra i problemi che l’Italia può avere nei prossimi mesi c’è anche quello dei livelli del recupero dell’evasione. La sentenza della Corte costituzionale sulla dirigenza dell’Agenzia delle entrate sta paralizzando l’attività...
L’Agenzia fa un lavoro fondamentale. La direttrice Orlandi e tutto il personale stanno facendo enormi sforzi in una situazione difficile. Ci sarà presto un nuovo concorso e intanto interverremo con norme urgenti per misure temporanee in grado di risolvere l’emergenza.

Ma si può aprire un buco nel bilancio pubblico, se l’attività di recupero continuerà ad andare a rilento?
Confido in un recupero da qui alla fine dell’anno.

© Riproduzione riservata