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Borsellino, il j’accuse del figlio

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Politica

Borsellino, il j’accuse del figlio

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Palermo

Aveva detto che se ne sarebbe stato a lavorare nel suo ufficio di commissario a Cefalù. E così ha sorpreso tutti vedere Manfredi Borsellino materializzarsi nell’aula magna del Palazzo di Giustizia di Palermo dove era in corso un convegno organizzato dall’Associazione nazionale magistrati in ricordo di suo padre Paolo, ucciso dalla mafia in via D’Amelio il 19 luglio 1992. Manfredi, schivo, ha partecipato raramente a incontri pubblici. Così come le sorelle, Fiammetta e Lucia, che quest’anno hanno deciso di trascorre un paio di giorni a Pantelleria. Lucia, in particolare, è ferita profondamente dalle parole di Matteo Tutino, pubblicate dal settimanale L’Espresso, in cui il medico personale del governatore siciliano Rosario Crocetta dice che Lucia, a suo tempo assessore alla Sanità, «va fatta fuori come suo padre».

In quell’aula, affollata di magistrati, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che non è voluto mancare agli appuntamenti in ricordo del suo amico Paolo presenziando prima in Tribunale e poi in Via D’Amelio. Ma anche i ministri dell’Interno e della Giustizia, Angelino Alfano e Andrea Orlando. E proprio Alfano, a margine, è tornato a parlare del giallo dell’intercettazione: «Io credo a Lo Voi - dice riferendosi al capo della Procura di Palermo - Se fossero vere quelle intercettazioni, Crocetta si dovrebbe dimettere - ha detto il ministro -. Ma se quelle intercettazioni non sono vere, come dice il procuratore di Palermo, chi ha fabbricato quella bufala, che fa, non si dimette? Se ci sono altri magistrati che sono in possesso della registrazione della conversazione tra Crocetta e Tutino, la cui esistenza è stata smentita dalla Procura di Palermo, lo dicano. Perché l'incertezza crea un clima insopportabile». Mentre dal canto suo il procuratore di Palermo Franco Lo Voi ha continuato a ribadire che l’intercettazione non c’è: «La famiglia Borsellino merita delle risposte e le avrà - ha detto -.Questa intercettazione alla procura di Palermo non risulta e quindi non c'è. E se circola la tesi che possa essere in un'altra Procura perché allora insistere a dire che l'intercettazione si trova a Palermo? Perché insistere sul filone Villa Sofia, gli atti secretati... Qui non c’è».

Ma il tema, dopo l’intervento di Manfredi, sembra essere passato in secondo piano. Il figlio di Paolo, pronuncia un atto d’accusa per le istituzioni e per il governatore Crocetta. «Sono qui essenzialmente per lei - ha detto Manfredi rivolgendosi al capo dello Stato - . Lei è tra quelli che hanno voluto bene a mio padre, ha avuto il nostro stesso vissuto e può comprendere cosa stiamo vivendo in questo preciso momento storico». Ma non è di questo che vuole parlare il figlio di Paolo Borsellino e in una quindicina di minuti demolisce definitivamente ciò che resta dell’esperienza del governo Crocetta: «Non intervengo per mio padre - dice Manfredi - intervengo per mia sorella Lucia che non può parlare, non vuole parlare». La voce a tratti si fa flebile, rotta per l’emozione, ma il discorso resta fermo: «Non credevo che la figlia più grande di mio padre dovesse vivere un calvario simile a quello del padre. Mia sorella da oltre un anno era consapevole del clima di ostilità in cui operava, delle offese che le venivano rivolte».

C’è, nelle parole di Manfredi, il racconto dei tre anni di governo della sorella Lucia, osteggiata dal cerchio magico di Crocetta. Manfredi lo dice chiaro: «Non sarà la veridicità o l’autenticità del contenuto di una intercettazione telefonica a impedire che tutti i siciliani onesti sappiano lo scenario drammatico in cui mia sorella Lucia si è trovata a operare. Lucia ha portato la croce fino al 30 giugno (giorno delle sue dimissioni ndr)ed è rimasta per amore di giustizia, per potere spalancare le porte di un assessorato e di una sanità intera alla procura della Repubblica e alle forze di polizia perché nessuna risultanza investigativa, generata anche dal suo operato, andasse dispersa». E infine Manfredi ha concluso: «Dovrei chiedere di esser destinato altrove, lontano da una terra davvero disgraziata. Ma non solo non glielo chiedo, ma ribadisco con forza che ho il dovere di rimanere qui, lo devo a mio padre e adesso lo devo soprattutto a mia sorella Lucia». Per Manfredi l’abbraccio affettuoso del presidente della Repubblica, il primo ad alzarsi per andare a stringere forte il figlio del suo amico Paolo.

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