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Corte di Strasburgo: l’Italia riconosca le coppie dello stesso sesso

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diritti dell’uomo

Corte di Strasburgo: l’Italia riconosca le coppie dello stesso sesso

L'Italia dovrebbe modificare il proprio ordinamento e introdurre quanto prima il riconoscimento legale per le coppie dello stesso sesso. Questa l’indicazione che arriva all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, che in una sentenza deliberata oggi all’unanimità ha condannato il nostro paese per violazione dell’articolo 8 della Convezione europea dei diritti umani (diritto al rispetto della vita privata e familiare). Per i giudici, in base all’attuale legislazione i ricorrenti, tre coppie omosessuali, «non hanno la possbilità di sposarsi o di entrare a far parte di qualsiasi altro tipo di unione civile».

Norme italiane inaffidabili e inefficaci
Come spiega una nota ufficiale della Corte diffusa in mattinata «la protezione legale attualmente assicurata in Italia alle coppie dello steso sesso non solo non garantisce gli aspetti rilevanti per una coppia nell’ambito di una relazione stabile, ma si dimostra anche non abbastanza affidabile». In questo quadro, l’unione civile o un registro delle relazioni stabili «sarebbe il modo più appropriato per assicurare il riconoscimento legale» del rapporto esistente tra coppie dello stesso sesso, quale è il caso dei ricorrenti del caso Oliari e altri vs Italia.

Norme ad hoc prevalenti in Europa
La Corte sottolinea anche come il trend bormativo per il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso è ormai prevalente in Europa e tra i paesi membri del Consiglio d’Europa: ben 27 su 47 paesi prevedono infatti tale riconoscimento. A ulteriore rafforzamento del monito rivolto al nostro egislatore, i giudici di Strasburgo ricordano che anche la nostra Corte costrituzionale si è più volte espressa a favore della protezione e del riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso, cosa che ormai, «in base ai recenti sondaggi, vede favorevole anche la maggioranza degli italiani».

Ddl unioni civili ancora in stand by al Senato
Pressato dai giudici europei e nazionali sui temi dei diritti civili (di ieri la sentenza della Cassazione che autorizza il cambiamento di sesso sui documenti di identità senza necessità di intervento chirurgico), difficilmente il legislatore italiano potrà evitare di prendere posizione in tempi brevi. In pole position per il primo via libera è in particolare è il ddl sulle unioni civili, prossimo all’approdo in Aula al Senato dopo il via libera della commissione Giustizia, ma ancora in attesa della relazione tecnica della commisisone Bilancio pretesa da Area popolare Ncd-Udc nel corso dell'ultima conferenza dei capigruppo che doveva definire i tempi di esame in assemblea.

Scalfarotto: ora Parlamento abbia uno scatto di orgoglio
Tra i primi a plaudire per la sentenza della Corte di Starsburgo c’è il sottosegretario alle Riforme, Ivan Scalfarotto. «Tanto tuonò che piovve», ha sottolineato l’esponente dem, ricordando i venti giorni di digiuno da lui affrontati «per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla situazione di grave imbarazzo per l'Italia costituita dall'assenza di una legge sulle unioni omosessuali». Ora la Cedu «ha sancito ciò che era già ovvio a chiunque avesse gli occhi per vedere». L’augurio, ha concluso, è che «finalmente ci si arrenda all'evidenza e che il Parlamento italiano abbia uno scatto d'orgoglio applicando in modo assolutamente inderogabile il cronoprogramma autorevolmente fissato dal presidente del Consiglio. Avere una legge entro la fine dell'anno è la sola possibile risposta a questa censura che davvero non fa onore al nostro Paese».

M5S: Pd e governo smettano di fare melina sulle unioni civili
Una ccelerazione immediata dell’esame delle misure sulle unioni civili è stata poi sollecititata dal M5S, che ha definito la sentenza «un sonoro schiaffone all'Italia, che dopo 30 anni di contrapposizioni ideologiche e sterili polemiche non è ancora riuscita ad offrire un riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali». Ora governo e Pd devono smetterla «di fare melina» e darsi da fare «per colmare questo vuoto normativo che non è degno di un Paese civile».

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