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Il passato che non muore

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l’analisi

Il passato che non muore

Su Raidue, ieri alle 14, è andato in onda il film «Il passato non muore mai». La scelta sarà stata casuale, ma proprio nelle stesse ore la commissione di Vigilanza nominava sette dei nove consiglieri che siederanno a Viale Mazzini sino al 2018.

L’impressione è proprio che il passato non muoia mai: non per una discriminazione anagrafica ma per una questione di metodo, innanzitutto. Non si può pensare, a fronte della rivoluzione digitale in corso, di nominare il vertice della maggiore azienda culturale e informativa del Paese senza alcun confronto preventivo sulla sua missione e sul suo mandato. La Rai dei partiti è il passato che non muore mai. Sarebbe utile che anche la Corte costituzionale, prima o poi, possa far chiarezza su questo, rispetto a sentenze arrivate in momenti storici totalmente differenti da quello attuale. Il rischio, sul mercato, è il progressivo slittamento della concessionaria pubblica a terzo polo televisivo.

Anche nel merito si poteva avere più coraggio nelle scelte, premiare maggiormente le competenze - che pure non mancano, nel campo dell’innovazione digitale o nella produzione di contenuti - e l’indipendenza dei comportamenti. Sicuramente più autorevole di altre la candidatura di Ferruccio de Bortoli, che meritava di essere gestita meglio.

Ora, occorre un colpo d’ala. Il verso appare sbagliato. Occorre invertirlo con la scelta del presidente e del direttore generale. Nomi che dovranno essere autorevoli, competenti e, allo stesso tempo, portatori di una discontinuità rispetto ad un passato contrassegnato dalla lottizzazione e dalla mancanza di visione strategica. E da un vertice condizionato da un mandato troppo breve e troppo legato agli schieramenti parlamentari. I neo consiglieri potranno smentirci puntando sulla trasparenza, sull’indipendenza delle scelte, sulla capacità di calarsi nell’azienda Rai, nelle sue grandi potenzialità e nelle sue criticità, senza restare un corpo separato al settimo piano di Viale Mazzini.

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