Quella che segue è la presentazione del libro “Libero – L'imprenditore che non si piegò al pizzo” di Chiara Caprì con Pina Maisano Grassi editato nella Collana Ora Legale e da oggi per una settimana in edicola con il Sole-24 Ore. Sarà poi possibile, come tutti i 20 volumi, acquistarlo su www.ilsole24ore.com/oralegale
C'è sempre un prima e un dopo. In qualunque grande fenomeno naturale o sociale. E' così. C'è sempre un prima e c'è sempre un dopo che è radicalmente diverso o sia avvia a diventare radicalmente diverso. Grazie a una spinta, un impulso, un cambiamento radicale.
Così è stato – bagnato dal sangue di Libero Grassi – anche il prima e il dopo nell'atteggiamento degli imprenditori siciliani di fronte al racket e al pizzo.
Prima della morte di Libero Grassi, imprenditore nato a Catania e morto a Palermo il 29 agosto 1991 per mano di Cosa nostra, lo scenario era quello peggiore. Silenzio e omertà tra gli industriali, testa bassa delle associazioni che li rappresentavano e pagamento del pizzo considerato, né più né meno, che una tassa occulta dovuta alla malavita in assenza (allora più di oggi) di uno Stato efficiente e in grado di tutelare anche chi creava lavoro.
Dopo la morte – avvenuta proprio nel silenzio delle associazioni e con il solo sostegno in vita dei lavoratori e della famiglia – il seme della rivolta al pizzo e al racket comincerà a dare i primi frutti, anche se la strada da fare è ancora tantissima e tutta in salita.
La sua grande forza è stata quella di rivolgersi alle Forze dell'ordine e di denunciare i mafiosi, perché riteneva stupido e diseducativo pagare il pizzo: «Pagare significa dare forza ai mafiosi, ed io nono lo farò. No! Non pago e non starò zitto come fanno tanti altri: io voglio parlare, chi parla è sicuramente più sicuro di chi subisce e sta zitto. Per mia cultura non faccio accordi con i criminali per salvaguardare la mia attività».
Lo aveva detto più volte e lo aveva anche scritto in una lettera pubblicata sul Giornale di Sicilia il 10 gennaio 1991, avvertendo i suoi estortori che non avrebbe pagato, che non avrebbe dato “contributi” o regalie, perché pagando si era destinati a chiudere e lui non voleva chiudere la fabbrica che aveva costruito con le proprie mani. In questa decisione – denunciare e combattere – aveva trovato il consenso corale della famiglia e in particolare del figlio Davide che insieme a lui dirigeva l'azienda.
Che esista un prima e un dopo Libero Grassi è certificato anche da alcuni protagonisti – i più vari – delle Istituzione italiane e della Sicilia.
Secondo l'allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il sacrificio di Libero Grassi «è divenuto nel tempo, anche grazie alla mobilitazione delle migliori energie della società e alla crescente determinazione dell'imprenditoria siciliana, un riferimento essenziale della rivolta contro il racket e la pressione mafiosa. Il ricordo della lotta di Libero Grassi per salvaguardare la dignità del lavoro e la libertà dell'attività economica da forme inammissibili di violenza deve costituire fecondo stimolo per una sempre più ampia mobilitazione della coscienza civile e per una sempre maggiore diffusione della cultura della legalità».
Il 20 agosto 2013 il presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante ebbe modo di dire pubblicamente, alla presenza della vedova Grassi: «Ho chiesto scusa alla famiglia Grassi. Ho letto i verbali di Confindustria dell'epoca e mi sono indignato e vergognato per l'atteggiamento che l'associazione degli industriali assunse nei confronti di Grassi. Noi abbiamo modificato il nostro codice etico per emarginare chi non denuncia e liberare dal gioco mafioso le imprese sane». (Fonte: Repubblica Palermo online del 29 agosto 2013).
L'attuale procuratore generale di Caltanissetta, allora a capo della Procura della città nissena, Sergio Lari, il 16 settembre 2013 dirà, a proposito del precipitare degli eventi in Sicilia: «Temo un colpo di coda. Non vorrei arrivare da qui a tre mesi con un altro Libero Grassi magari attraverso altre dinamiche rispetto a quelle dell'omicidio…» (fonte: il Sole-24 Ore del 17 settembre 2013).
In questo libro Chiara Caprì, raccogliendo le lettere inedite di Libero alla moglie (che ha raccolto il testimone della lotta per la legalità) e ripercorrendo la sua storia, ricostruisce la figura di quello che prima di essere un eroe antimafia è stato innanzitutto un cittadino onesto e perbene che ha creduto nella libertà che del resto aveva scritta nel nome di battesimo, come una testimonianza perenne. Anche dopo la morte.
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