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Mini-riforma possibile, ma la vera partita è con Bruxelles

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L'ANALISI

Mini-riforma possibile, ma la vera partita è con Bruxelles

Visto da Bruxelles, un nuovo intervento sul fronte della previdenza all'insegna della flessibilità in uscita è possibile, ma con diversi caveat. Poiché le riforme messe in campo finora puntano a stabilizzare a regime una spesa che assorbe il 15% del Pil, ogni nuova misura dovrà essere pienamente compensata, con effetti sostanzialmente neutri per i conti pubblici. Va in sostanza garantito integralmente il piano di risparmi a regime previsto dalla legge Monti-Fornero del dicembre 2011: circa 80 miliardi entro il 2020, somma cui vanno sottratti i 12 miliardi impegnati per salvaguardare 170mila esodati, e che comprende anche i 18 miliardi a regime che derivano dal blocco biennale delle indicizzazioni 2012-2013 per le pensioni superiori a tre volte il minimo Inps. Cifra aggiornata in base alla spesa impegnata dal governo (2,1 miliardi nel 2015) per la restituzione una tantum di parte del mancato adeguamento a 3,7 milioni di pensionati, che passerà a 500 milioni l'anno dal 2016.

Il nuovo, se pur contenuto, intervento allo studio del governo per la prossima legge di stabilità in tema di pensioni andrà dunque inserito nel pacchetto di richieste da prospettare in settembre a Bruxelles. Il via libera preventivo è condizione essenziale, poiché la tenuta dei conti previdenziali è uno dei principali “fattori rilevanti” sui quali il monitoraggio da parte della Commissione Ue è costante, tanto da essere inserito in gran parte dei documenti ufficiali indirizzati al nostro paese con specifico riferimento alla sostenibilità nel medio periodo del debito pubblico. Stando alle più recenti stime, pur con gli interventi previsti dalla legge Fornero, la spesa previdenziale è prevista in crescita del 2,7% nel 2019, contro l'incremento decisamente più contenuto (1,2%) del resto della spesa corrente.

Materia da maneggiare con molta attenzione, dunque. La stessa decisione assunta dal Governo per far fronte agli effetti della sentenza della Consulta (oltre 18 miliardi qualora la si fosse applicata integralmente) è maturata dopo una preventiva consultazione con Bruxelles. Il disco verde annunciato il 20 maggio è stato motivato dalla constatazione che il dispositivo del relativo decreto non comportava alcuna modifica del deficit per l'anno in corso. Nessuna obiezione alla copertura, garantita in gran parte dall'ex “tesoretto” di 1,6 miliardi ritagliato nelle pieghe dei conti con il Documento di economia e finanza di aprile. Ora si replica, e spetterà in primis al ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan convincere l'esecutivo comunitario che i primi passi in direzione della nuova flessibilità in uscita non impatteranno sui conti pubblici. Partita che si intreccia con i margini ulteriori di flessibilità che il Governo si accinge a prospettare a Bruxelles, in particolare per quel che riguarda la clausola sugli investimenti. Stando al quadro tendenziale, il deficit del 2016 si sarebbe attestato all'1,4% del Pil. A maggio la Commissione europea ha autorizzato l'applicazione della clausola di flessibilità sulle riforme, consentendo in tal modo al Governo di riformulare il target programmatico del deficit elevando l'asticella all'1,8 per cento. Di conseguenza nel prossimo anno la riduzione del deficit strutturale (calcolato al netto delle variazioni del ciclo economico e della una tantum) potrà limitarsi allo 0,1% del Pil. Ma soprattutto (e qui entra direttamente in gioco la variabile decisiva della spesa previdenziale) va rispettata la “regola del debito”. In caso contrario, si creerebbero le premesse per l'apertura di una procedura di infrazione, che farebbe venir meno tutte le clausole di flessibilità (già accordate o in itinere)e ogni ulteriore margine di azione previsto dal cosiddetto braccio preventivo del Patto di stabilità.

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