Aveva lavorato duramente, sofferto, era stato maltrattato, seviziato e percosso dai trafficanti di esseri umani, era stato costretto a lavorare senza cibo e senza acqua come prezzo per la traversata. Tutto per conquistare quel biglietto della speranza per sbarcare in Italia. Aveva affrontato, completamente solo, un viaggio difficile anche per un adulto. Aveva solo 15 anni il ragazzo somalo morto ieri dopo essere stato soccorso dalla nave Dignity I di Medici senza frontiere, impegnata in operazioni di salvataggio dei migranti nel Canale di Sicilia. È stato stroncato da un arresto cardiocircolatorio, ma il suo corpo era segnato dalle brutali percosse e dai maltrattamenti subiti in Libia prima della partenza.
Violenze di ogni genere per conquistare il biglietto per la traversata
I suoi compagni di viaggio hanno raccontato che il ragazzo era stato sottoposto a percosse e sevizie di ogni genere in Libia. I trafficanti di esseri umani lo avevano costretto a lavori massacranti, senza dargli né cibo, né acqua. Tutto pur di conquistare la possibilità di salire su un barcone: un biglietto pagato con la vita. Nel corso della prima notte a bordo , dopo il salvataggio in mare, il ragazzo sembrava reagire bene alle cure, ma non ce l’ha fatta. «Quando è arrivato a bordo - ha sottolineato Francesca Mangi, coordinatrice a bordo di Dignity I di Msf - era in condizioni critiche, con segni di violenza, infezioni, problemi di respirazione e uno stato di malnutrizione severa». Poi la morte improvvisa.
Dall’inizio dell’anno sono arrivati 7.600 minori non accompagnati
Sono tante le storie di bambini che arrivano soli dalla Libia. Dall'inizio dell'anno sono giunti almeno 7.600 minori non accompagnati, in maggioranza eritrei, somali e di altri paesi dell'Africa sub-sahariana o occidentale, in condizioni quasi sempre critiche a causa delle violenze e degli abusi di ogni tipo subiti o ai quali hanno assistito, ha dichiarato Raffaela Milano, direttore Programmi Italia-Europa di Save the Children. Nel corso del viaggi dai paesi di origine, e poi in Libia, ha sottolineato Save the Children , la necessità di reperire il denaro per la traversata del Mediterraneo espone i minori soli, a volte anche molto piccoli, di 11, 12 o 13 anni, a «ogni tipo di violenza, sfruttamento e abuso, come raccontano le testimonianze raccolte dagli operatori dell'organizzazione». Spesso sono sottoposti a lavori durissimi.
Tante le storie di sofferenza
A., 16 anni, è partito dal Senegal e ha attraversato Mali, Burkina Faso e Niger, per arrivare in Libia, dove ha lavorato per sei mesi. «Nei campi - ha raccontato - ero costretto a raccogliere per tutto il giorno una pianta spinosa che mi ha lasciato ferite ovunque nelle mani e nelle braccia. La notte eravamo richiusi e ci picchiavano perché non scappassimo, mi hanno picchiato così forte che mi hanno rotto un braccio». Anche I.B., 16 anni, è del Senegal. Arrivato in Libia è stato subito arrestato e rinchiuso; in prigione lo picchiavano bastonandogli i piedi due volte al giorno. Chiedevano un riscatto di 1000 dinari per liberarlo. M., 15 anni, del Gambia, lavorava in un magazzino in Libia. Quando ha chiesto di essere pagato gli hanno frantumato due dita con un martello ed è dovuto scappare. Simile la storia di D., 15 anni, della Costa d'Avorio, che faceva il muratore con orari massacranti senza essere pagato. Tutto per un sogno: quello di una vita migliore.
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