Italia

Dossier Il «partigiano» Cavalli: sul palco e nei libri

  • Abbonati
  • Accedi
Dossier | N. (none) articoliOra Legale

Il «partigiano» Cavalli: sul palco e nei libri

Il libro che si ripropone in questa Collana editoriale uscì nel 1984 in Francia con il titolo “Meurtre imparfait – L'affaire Dalla Chiesa”. Non era ancora arrivata la traduzione nelle librerie italiane, che mezza classe dirigente nazionale, politica e no, era già sul piede di guerra.

L'allarme per il contenuto del libro – scritto dal figlio, Nando – era quasi pari all'allarme con il quale buona parte della Sicilia e dello Stato italiano (ci riferisce, con tutta evidenza, alla fetta deviata, corrotta e collusa) salutò il ritorno nell'Isola del prefetto Caro Alberto Dalla Chiesa, dove aveva già dato prova del suo valore a più riprese. Nel 1949, quando si cimentò nel Comando forze repressione del banditismo dei Carabinieri, comandò il Gruppo squadriglie di Corleone e indagò sulla scomparsa del sindacalista Placido Rizzotto.

Poi ancora dal 1966 al 1973 al comando della legione dei Carabinieri di Palermo. Dopo un paio di anni in cui Cosa nostra agiva sottotraccia, Dalla Chiesa nel 1969 affrontò le conseguenze della strage di Viale Lazio avvenuta il 10 dicembre a Palermo. Da quel momento nulla fu come prima e una nuova generazione di mafiosi cominciò a farsi strada. In quegli anni palermitani Dalla Chiesa – che dal '73 fu posto al comando della Brigata di Torino – assistette a quegli omicidi eccellenti (il giornalista Mauro De Mauro, il procuratore Pietro Scaglione) che gli rivelarono su quali oscuri e celati giochi di potere potesse contare davvero Cosa nostra. Dal mondo dell'imprenditoria a quello della finanza, dalla politica ai professionisti.

Ovvio che il suo terzo ritorno in Sicilia, nel maggio 1982 per contrastare l'ardire sempre più sfrontato dei sistemi criminali, non potesse che allarmare, anche perché, come ricorda il figlio Nando, del padre vanno ricordate le denunce dei rapporti tra mafia e politica davanti alla Commissione parlamentare antimafia. La devastante e lucida follia di quei sistemi criminali portò ad armare la mano di Cosa nostra che il 3 settembre del 1982, alle 21, uccise il prefetto, la seconda moglie, Emmanuela Setti Carraro e l'agente di scorta Domenico Russo.

Nando Dalla Chiesa scrisse questo libro due anni dopo, nel 1984, per raccontare quel che era accaduto davvero. Non c'è dunque da meravigliarsi se il libro venne sottoposto a ferrea censura televisiva e molti ne temevano l'arrivo nelle librerie italiane: raccontava non solo quel che era sotto gli occhi di tutti – l'omicidio di due Servitori dello Stato e di una donna che accompagnava la vita del prefetto – ma, soprattutto, le trame che si celavano dietro quella strage. Una chiamata in correità morale per far conoscere la quale, il 4 ottobre 1994, Repubblica fece scendere in campo addirittura Giorgio Bocca (lo stesso che il 10 agosto 1982 raccolse l'ultima, disperata intervista al prefetto). Quel giorno Bocca scrisse che «nella sua non credibile ma autentica ingenuità il generale credeva di aver dalla sua una parte decisiva del Potere. Il ministro dell' Interno, Rognoni, che aveva messo al corrente delle sue preoccupazioni non gli aveva forse detto: “Non si preoccupi, lei non è il generale della Democrazia cristiana”? I signori della Repubblica e del partito democristiano chiamati in causa da Nando Dalla Chiesa hanno già, a quanto si legge, “duramente smentito”. Non so però come possano smentire che uno dei Salvo, Nino, colpito da insinuazioni e allusioni per le sue complicità mafiose, e ora inquisito per associazione mafiosa, si rivolgesse in un' intervista alla Democrazia cristiana chiedendosi “come possa ancora consentire, questo partito, alle sistematiche persecuzioni nei confronti delle forze imprenditoriali che le sono più vicine”. Questo per lo scandalo e la polemica. Per la storia c' è una ricostruzione precisa, angosciante, implacabile di come un giusto e coraggioso si trovi man mano solo e abbandonato. Cerca un colloquio con De Mita nei giorni di una breve vacanza presso Avellino, ma non riesce a trovarlo; “e sì che Nusco è a un tiro di schioppo dalla mia campagna”. Scrive lettere al presidente del Consiglio Spadolini, implora ministri e segretari di partito, cerca di far sentire la sua voce con l' ultima intervista. Poi viene la morte prevista e affrontata. C' è da stupire che un figlio scriva poi questo libro di appassionata accusa?».
r.galullo@ilsole24ore.com

© Riproduzione riservata