«Ne sono felice, anche perché lo spettacolo dopo anni continua ad essere in scena più vitale del suo interprete, se fosse possibile». Così il 13 maggio 2015 Giulio Cavalli, poliedrico artista italiano, commentava sul suo sito la riedizione, in questa Collana editoriale, del suo libro “Nomi, cognomi e infami”.
Sullo stesso sito, a proposito della scorta che gli sta alle calcagna da quando le mafie del nord, che denuncia da anni, gliel'hanno giurata, scrive sdrammatizzando: «Se qualcuno sta cercando ossessivamente la questione della scorta: sì sono io. E credo che sia una delle mie caratteristiche meno interessanti poiché non è un pregio, non è un vizio o un difetto ma solo una conseguenza. Odio gli indifferenti, sono partigiano».
Già la scorta è una conseguenza della sua partigianeria – vale a dire il parteggiare faziosamente contro qualcuno o qualcosa, come recita qualunque dizionario – contro le mafie e i sistemi criminali che inquinano l'Italia. Una partigianeria che si manifesta nell'arte di Cavalli proprio a partire da quello spettacolo, che da anni girà l'Italia (prodotto dalla Bottega dei mestieri teatrali con il contributo di Next Regione Lombardia e Fondazione Cariplo-Etre) che si chiama proprio “Nomi, cognomi e infami”
Cavalli racconta (sul palco discute e in platea c'è chi scopre per la prima volta) alcune storie di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra, di soprusi, di ingiustizie, di violenza, oltre che di uomini e donne che hanno scelto di non piegarsi agli uomini d'onore perché l'onore, quello vero, come spiega Cavalli, «è tutta un'altra cosa e a non farcelo dimenticare qualcuno ci deve pur pensare».
«Caro picciotto, o se preferisci, visto che hai imparato a pettinarti e vestirti pulito, caro estorsore, o, se preferisci, caro esattore – si legge nella presentazione dello spettacolo – . E poi caro al tuo capo ufficio, quello che sta seduto a contare i soldi quando alla sera raccoglie le mesate del mandamento, quei soldi che vi auguro che vi marciscano in mano. E poi cari a tutti i falliti, perché è da falliti mangiare sulla metastasi della paura degli altri, oppure, per capirsi meglio, cari a tutti gli uomini d'onore, così ci capiamo meglio, così vi prendiamo dentro tutti e entriamo subito in tema. Sono un commerciante di parole, a volte me le pagano bene, e arrotondo sempre il peso prima di chiudere la vaschetta. […] Questa sera apro la saracinesca fuori orario e vi vengo a cercare io, ma mica per i cinquecento euro così sto messo a posto, ma perché avrei, dico almeno, un paio di domande, una cosa da niente, mica per capire dove non c'è niente da capire, ma per togliermi il peso. Il peso di una curiosità che alla fine cercate sempre di farci pagare nel mercato della vigliaccheria di cui siete i detentori».
Il libro, spiega ancora l'autore, «è una rivoluzione morbida contro coloro che, abituati a comprarsi giudici, onorevoli, senatori, funzionari, sindaci, imprenditori, giornalisti, sanno bene che nulla possono contro la parola, quel mitra senza proiettili che instilla germi; germi di consapevolezza, germi di coscienza, germi di libertà. È una ninna nanna recitata per tenerci tutti svegli, mentre urliamo che disonorarli, comunque, è una questione d'onore».
Cavalli narra in prima persona i fatti, i nomi, le facce di una vita che non ci appartiene e che non ha né onore, né dignità. Storie, per cercare di fare chiarezza intorno ai fatti che stanno dietro ad un omicidio tristemente noto, quello di Paolo Borsellino. O ancora per riportare alla luce fatti forse meno conosciuti, ma non per questo meno carichi di significato, come quelli che hanno per protagonista il magistrato Bruno Caccia, ucciso a Torino dall'ndrangheta per le sue indagini ‘troppo concentrate' sulle attività illegali sviluppatesi in Piemonte.
Una narrazione su chi questi fatti li ha vissuti e ha cercato di capire e di conoscere, come Giuseppe Fava. Ma anche di chi queste storie le combatte quotidianamente, come i ragazzi di Addiopizzo.
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