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Dossier Il rischio di farsi risucchiare dal Sud

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    Dossier | N. 5 articoliRapporto Puglia

    Il rischio di farsi risucchiare dal Sud

    La Puglia rischia di essere inghiottita dal resto del Sud. Lo scintillio pop e mediatico delle vacanze in Salento, trasformatesi in un appariscente fenomeno di massa mentre la Sardegna si suicida con il veleno del caro-traghetti, non deve trarre in inganno. Una lettura ponderata delle statistiche di lungo periodo mostra i punti di debolezza di un sistema produttivo e sociale regionale che, peraltro, ha in sé una bomba deflagrante come l’Ilva di Taranto - i cui effetti finora sortiti sono una minima parte di quelli che potrebbe provocare in caso di mancato compimento dei turn-around aziendale - così diversa e altrettanto complessa rispetto al risanamento ambientale. Il vero problema è che la crisi innescatasi nel 2008 con il fallimento di Lehman Brothers sembra avere – nel passaggio dal macro al micro, dai mercati globali alla scala europea, dalla realtà italiana al particolare regionale - ridotto la specificità pugliese.

    Secondo i dati della Svimez, fino a quell’anno il tasso di disoccupazione della Puglia è sempre stato di almeno un paio di punti inferiore rispetto a quello medio del Mezzogiorno; dal 2009, le cose sono andate diversamente. In quell’anno, il tasso di disoccupazione del Mezzogiorno era pari a 12,5%, mentre quello della Puglia si attestava al 12,6%; nel 2010, sono stati pari rispettivamente al 13,3% e al 13,5%; nel 2011, al 13,5% e al 13,2%; nel 2012, al 17,1% e al 15,7%; nel 2013, entrambi sono stati uguali a 19,7%; nel 2014, il tasso di disoccupazione del Mezzogiorno è stato pari al 20,7%, mentre quello della Puglia è salito fino al 21,5 per cento. Peraltro, l’assimilazione della Puglia al minimo comun denominatore meridionale sembra risalire agli anni Novanta: ancora nel 1998 il Pil regionale aumentava del 2,8%, contro l’1,9% del Sud; nel 1999 il Pil pugliese saliva addirittura del 4,1%, contro il + 2% del Sud.

    Da allora, negli ultimi quindici anni, secondo le statistiche della Svimez, la dinamicità pugliese si spegne, con le punte negative del Pil a -4,7% del 2009 (la stessa caduta quantitativa del Mezzogiorno), del -3% del 2012 (-2,5% il Sud nel suo complesso) e del -1,6% del 2014 (-1,3% il Mezzogiorno). La demografia, che rispecchia bene gli andamenti profondi dei sistemi economico-sociali, esprime lo stesso sfilacciamento. Secondo un trend comune a tutto il Mezzogiorno, con la recessione accesasi nel 2008 anche le scelte più intime delle persone incominciano a mutare. Dal 2012, il numero dei nati in Puglia è stato inferiore rispetto ai deceduti. Il nucleo di valutazione statistica della sede di Bari della Banca d’Italia ha evidenziato, nell’ultimo rapporto sull’economia regionale, che nel 2014 l’attività produttiva ha interrotto la sua discesa e ha ipotizzato, per il 2015, una ripresa dei fatturati e degli investimenti. Anche l’Istat ha di recente segnalato un “miglioramento” formale del tasso di disoccupazione, ridisceso al 20,3% nel secondo trimestre 2015 rispetto all’analogo periodo 2014 (quando era al 21,3%). Il problema, però, è il lungo periodo. Nelle dinamiche economiche e sociali, industriali e demografiche, esiste una questione pugliese di natura non congiunturale, bensì strutturale.

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