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Roberti: corruzione mai combattuta in Italia

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L’AUDIZIONE IN COMMISSIONE PARLAMENTARE

Roberti: corruzione mai combattuta in Italia

Mai combattuta la corruzione in Italia? «Mai». Così il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Franco Roberti davanti alla commissione parlamentare Antimafia. Per molte ragioni non ultima il fatto che «i corrotti sono sempre stati visti come dei furbi, gente che ci sa fare e che va negli uffici comunali con gli assegni in bocca per ottenere le licenze». Nel ragionamento di Roberti si affaccia lo stesso discorso che vale per gli evasori fiscali. «Ma corruzione ed evasione fiscale sono il sostrato della criminalità organizzata. Come prova anche l’inchiesta su Mafia Capitale, la corruzione si è associata all’intimidazione, certo non l’ha sostituita: ma non si può in nessun caso negare che le mafie siano un elemento costitutivo delle società da cui hanno avuto origine, all’interno delle quali si sono affermate e da dove si sono propagate anche fuori d’Italia e fuori d’Europa proprio per effetto della vulnerabilità del sistema economico finanziario e delle istituzioni».

La camorra è parte integrante della società napoletana
«Alcuni anni fa, durante un’audizione davanti alla commissione Antimafia presieduta da Forgione, dissi che la camorra era un elemento costitutivo della società napoletana. Intendevo dire, e la realtà da allora non è cambiata, che la camorra è parte integrante della società napoletana e un problema economico e politico oltre che criminale». In apertura della sua audizione il procuratore nazionale mostra di condividere la sortita, assai discussa, della presidente Rosy Bindi. «Basta con i negazionismi ipocriti, subdoli e paralizzanti - ha premesso Roberti - che contrappongono a questa evidenza una visione di Napoli come paradiso terrestre e un atteggiamento di tipo consolatorio. Esiste una Napoli virtuosa e onesta ma anche una Napoli camorrista e plebea che convive con l’altra, si alimenta delle diseguaglianze economiche, fa affari con i ricchi senza scrupoli e recluta nelle aree della povertà, dell’emarginazione e della disperazione». A Napoli - ha proseguito il procuratore nazionale Antimafia - «la camorra domina ancora larga parte del territorio: guardare in faccia la realtà è la precondizione necessaria per articolare un’attività strutturale di contrasto che risulti davvero efficace. Questo vale anche per la mafia e per la ’ndrangheta: «Negare che le mafie siano una componente organica della società significa negare l'evidenza ma è necessario anche prevedere tutta una serie di interventi per favorire sul piano economico e sociale il recupero di questi territori. Come intervento giudiziario di più non si può fare, anzi dobbiamo fare attenzione a non indebolirlo come, inconsapevolmente e in perfetta buona fede, si sta invece rischiando di fare in questi giorni con alcune modifiche al Codice penale».

Bene la riforma del 2014 sul voto scambio
«Tutti abbiamo interesse al buon funzionamento del 416-ter” è stata la risposta del procuratore nazionale a chi chiedeva conto dell’applicazione della riforma del voto di scambio, approvata nel 2014. «La giurisprudenza - ha detto Roberti - ha lavorato: si sono formate due scuole di pensiero, quella che fa capo alla cosiddetta sentenza Polizzi del maggio 2014 e quella che fa capo alla sentenza Antinoro del giugno 2014. Il confitto tra queste due sentenze è più apparente che sostanziale». «La Antinoro ritiene che il patto politico-mafioso debba essere esplicitato - ha chiarito Roberti - secondo la Polizzi, che preferisco e che si sta affermando, questo patto per procacciare voti può essere implicito, e può essere confermato dallo spessore dei personaggi: se i personaggi sono tali da assicurare la “serietà” del patto, questo può essere implicito, non c'è bisogno di esplicitazione, è come la mafia silente. Non c’è bisogno di sparare: basta la percezione, per avere metodo mafioso”. Bene aumentare le pene per il reato, ha proseguito Roberti, riferendosi al voto avvenuto stamani in Aula alla Camera. “Questo nuovo 416-ter - ha proseguito - richiede due parti per consumarsi, il vecchio richiedeva come agente il politico, il mafioso veniva coinvolto a titolo di concorso. La giurisprudenza vecchia richiedeva comunque l'accordo. E vedo una evoluzione: se funziona, si stempera il ricorso al concorso esterno al 416-bis, ricorso che è più frutto di pregiudizio sociale che di effettiva necessità giuridica». Si tratta, insomma, spesso «di costruzioni giurisprudenziali che non tenevano conto della realtà attuale dei rapporti, che va verso l'organicità» tra politica e mafia.

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