Il 21 luglio la Regione Siciliana ha convocato 15 testimoni di giustizia e persone che hanno denunciato mafia, ritorsioni, omicidi e che sono sottoposte a programmi di protezione. Obiettivo: l'assunzione. I primi sono entrati da pochissimi giorni, altri sei erano stati assunti prima dell'estate nella sede romana della Regione. Complessivamente la stessa Regione Siciliana ha deciso di assumere 42 testimoni di giustizia.
Per Davide Mattiello (Pd), componente della commissione parlamentare antimafia e coordinatore del gruppo di lavoro su testimoni collaboratori e vittime di mafia, «i testimoni di giustizia assunti dalla Regione siciliana rappresentano un segnale concreto e credibile che da speranza a chi intenda scegliere la denuncia. Per molti è la fine di un incubo. La strada imboccata dalla Regione siciliana è la più lineare: ci pensi il ministero dell'Interno. La Regione Siciliana ha infatti affrontato per legge il delicatissimo tema dell'inserimento lavorativo di chi ha perso tutto in ragione della scelta di denunciare i mafiosi, nella maniera più efficace: prevedendo l'assunzione diretta nella pubblica Amministrazione.
Una misura onerosa, certo, ma sono soldi ben spesi e riguardano comunque poche decine di persone: tante sono quelle che in ragione delle denunce fatte sono state considerate in così grave e attuale pericolo da essere sottoposte alle speciali misure di protezione. La normativa nazionale, che pure prevede la possibilità di accedere a programmi di assunzione nella Pa non considera invece l'assunzione diretta, rimandando al reperimento di posti disponibili. Una modalità che certo contiene i costi, ma che rischia di tradursi in un nulla di fatto. La copertura finanziaria per correggere la legge nazionale, potrebbe essere trovata nel tesoro dei sequestri, avrebbe un grande valore simbolico: il maltolto dei mafiosi, usato anche per stipendiare i testimoni di giustizia, che non possano ritrovare altrimenti la piena autonomia di una vita libera e dignitosa, come prevede la legge».
«Il provvedimento di assunzione dei testimoni di giustizia nella pubblica amministrazione regionale è certamente lo strumento più incisivo - afferma l'associazione nazionale testimoni di giustizia - per restituire pace e serenità alle nostre famiglie. Lontana dalla antimafia carnival e/o carnevalesca, oggi siamo qui a riconoscere, con sincera onestà intellettuale, il fondamentale contributo dato alla lotta contro le mafie da una politica regionale che ha saputo mettere da parte differenze e guardare oltre nell'interesse esclusivo dei siciliani onesti. Doveroso ringraziare tutte le forze politiche dell'Ars nella persona del Presidente Giovanni Ardizzone. Il prossimo traguardo nell'azione di una buona politica regionale e nazionale dovrà essere l'approvazione di misure legislative a favore degli imprenditori e commercianti per scongiurare la chiusura delle loro aziende dopo avere denunciato le mafie».
Nette le parole di Ignazio Cutrò, testimone di giustizia assunto: Oggi posso dire che oggi la mia lotta ha avuto un senso. Ma la cosa ancor più bella è un'altra: andrò a lavorare in un ufficio regionale che ha sede a Bivona, nel mio paese, nello stesso centro in cui abitano le persone che ho indicato nelle aule giudiziarie. In questi momenti mi tornano in mente le parole del procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Vittorio Teresi, che alcuni anni fa - in occasione di un incontro con gli studenti proprio a Bivona - disse che la mia scelta di entrare nel programma di protezione testimoni ma di non accettare il trasferimento in località segreta e di dire “no” ad una nuova identità era la scelta giusta per combattere nel territorio la criminalità organizzata.
Devono essere i malavitosi ad andare via dai centri abitati; devono essere loro a far le valige e lasciare i paesi in cui hanno tentato di comandare con la prepotenza e con la violenza tipica mafiosa. Le persone perbene devono poter vivere ovunque. Al momento dell'ingresso nel programma di protezione, al sol pensiero di abbandonare la mia Bivona per assumere una nuova identità e recarmi in una località segreta dove nessuno conosceva la mia storia, mi sentivo uno sconfitto. Era come se a vincere fossero stati i mafiosi che mi avevano reso la vita difficile. Restare nella mia città è stata, invece, una grande vittoria. E lo è ancor di più lavorarci onestamente e da impiegato pubblico. Mi sento di rivolgere un ringraziamento alla magistratura, al prefetto di Agrigento, Nicola Diomede, e al presidente Rosario Crocetta che con la scelta di farmi lavorare in un ufficio regionale con sede nella mia Bivona ha lanciato un chiaro messaggio: le persone oneste e perbene restano libere e vivono dove vogliono. I malavitosi e i mafiosi devono andar via. In culo alla mafia».
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