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Le incognite spending e la clausola migranti

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Attualità

Le incognite spending e la clausola migranti

Se cade la clausola di flessibilità da 3,3 miliardi che il Governo invoca per l’emergenza migranti, potrà soccorrere il maggiore gettito atteso dall’operazione rientro dei capitali (la voluntary disclosure), che l’Agenzia delle Entrate quantifica in 3 miliardi. Se i risparmi attesi dalla spending review non supereranno i 6-7 miliardi contro i 10 miliardi di partenza, occorrerà ricorrere a coperture aggiuntive. Di certo, a poco meno di due settimane dal varo di una legge di stabilità da 27 miliardi che prova a scommettere sulla ripresa, andranno ricalibrate le priorità della manovra. È il caso della decontribuzione per i nuovi assunti, che con ogni probabilità sarà sostanzialmente dimezzata rispetto al 2015, con un diverso e più selettivo meccanismo di distribuzione delle risorse. Ma è anche il caso dei fondi per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego, con una dotazione per il 2016 che stando alle ultime indicazioni potrebbe non superare i 500 milioni. Sulla stessa cifra si aggirano i fondi che serviranno a far fronte dal prossimo anno agli effetti a regime della sentenza della Corte costituzionale sulla mancata perequazione dei trattamenti pensionistici pari a tre volte il minimo Inps (per l’anno in corso è stata autorizzata una spesa di 2,2 miliardi). L’approccio con cui Bruxelles valuterà “caso per caso” le richieste dei singoli paesi relativamente alle spese da sostenere per l’emergenza migranti, lascia intendere che difficilmente si potrà pervenire in tempi brevi a una soluzione che vada nella direzione auspicata dal Governo. Il tutto ruota attorno all’assimilazione di tali spese alle «circostanze eccezionali» previste dai Trattati. L’Italia ne ha già fruito, con riferimento agli effetti della prolungata recessione. Ora viene richiesta un’interpretazione estensiva (su cui si è già aperta la trattativa), così da accrescere la “dote” a disposizione di una legge di stabilità che già prenota circa 5 miliardi per ridurre l’imposizione fiscale sulla prima casa. Non sembrano emergere al momento perplessità sulle altre due clausole su cui conta il Governo per far lievitare il deficit del 2016 dall’1,8 al 2,2% del Pil (l’ulteriore 0,1% della clausola sulle riforme e lo 0,4% della clausola sugli investimenti). Compito non facile, definire il puzzle della manovra, soprattutto dopo aver preso atto che l’operazione spending review non potrà garantire i risparmi ipotizzati nel Def di aprile.

Con le clausole di flessibilità (dunque con il maggiore deficit) si potrà coprire parte delle risorse che serviranno a disinnescare le clausole di salvaguardia (16,1 miliardi) evitando in tal modo l’aumento dell’Iva e delle accise sulla benzina dal prossimo anno. Ma quanto meno la spending review dovrà assicurare la copertura strutturale dei 5 miliardi di tagli dell’imposizione fiscale. Se così non fosse, difficilmente la Commissione europea approverebbe la manovra. La valutazione è attesa per fine mese, sulla base delle nuove variabili macroeconomiche contenute nella Nota di aggiornamento del Def e del testo della legge di stabilità.

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