Italia

Riforme, accordo nel Pd: approvato art. 21 su elezione capo…

  • Abbonati
  • Accedi
palazzo MADAMA

Riforme, accordo nel Pd: approvato art. 21 su elezione capo Stato. Da Fi e M5s lettera al Colle

Il Senato ha approvato l'articolo 21 del ddl Boschi sulle riforme, che riguarda le modalità di elezione del Presidente della Repubblica. I sì sono stati 161, i no 3, gli astenuti. Sul punto è stato trovato un accordo in casa dem, con un compromesso con la minoranza Pd: nessuna modifica all'articolo 21 del testo che riguarda l'elezione del Capo dello Stato (come chiedevano i bersaniani) ma nessun allargamento della platea dei grandi elettori). Sulle riforme costituzionali è arrivato anche un emendamento del Governo che modifica la norma transitoria del ddl Boschi e che raccoglie di fatto le richieste della minoranza Pd.

Lega esce da Aula prima del voto art. 21
Per protesta, i senatori della Lega sono usciti dall'Aula del Senato prima del voto sull'art.21 del ddl Boschi. Lo ha annunciato in Aula il capogruppo Gianmarco Centinaio. «Avete calpestato il regolamento e trasformato il futuro Senato in un albergo a ore della politica. State uccidendo la democrazia» ha denunciato Centinaio. Il Movimento 5 Stelle invece ha deciso di non votare l'articolo 21 del ddl riforme, ma di non abbandonare l'Aula. Il Pd ha votato compatto. E la minoranza dem ha deciso di ritirare tutti gli emendament

L’accordo sull’elezione del capo dello Stato
Per quanto attiene l’articolo 21, relativo all’elezione del presidente della Repubblica, l’intesa è dunque di mantenere il testo della Camera. Con un quorum decrescente nei primi sei scrutini, che dal settimo si fissa alla maggioranza dei tre quinti dei votanti. «Considero decisivo che la maggioranza abbia deciso di non modificare il quorum per l’elezione del presidente della Repubblica. Il quorum dei due terzi dei votanti è stato un risultato prezioso dell’ultima lettura alla Camera dei deputati», ha detto Roberto Speranza, uno dei leader della minoranza dem. Recita il testo dell'articolo 21 del ddl riforme: «Il Presidente della Repubblica e' eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri.
Lielezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea. Dal quarto scrutinio e' sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell'assemblea. Dal settimo scrutinio e' sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti».

Approvato articolo 27 con 169 sì
In serata l'Aula del Senato ha approvato l'articolo 27 della riforma costituzionale con 169 voti a favore, 45 contrari e 4 astenuti. Confermata l'assenza e la non partecipazione al voto della gran parte dei gruppi di opposizione. L'articolo 27 non è stato modificato rispetto al testo della Camera. La novità è una modifica all'articolo 97 della Costituzione che introduce il principio della trasparenza nell'organizzazione della pubblica amministrazione. Il Senato ha anche respinto, a scrutinio segreto, un emendamento del leghista Roberto Calderoli all'art.27 del ddl riforme con 155 voti contrari, 75 voti favorevoli e 3 astensioni.

Emendamento governo amplia casi devolution
Intanto il governo ha fatto proprio, riformulandolo, un emendamento del senatore del Pd Francesco Russo, che amplia la possibilità di devoluzione di poteri dallo Stato alle Regioni, prevista all'articolo 116 della Costituzione. Lo ha annunciato in Senato il sottosegretario alle riforme Luciano Pizzetti.

L’intesa sulle norme transitorie per i senatori
Il governo presenterà un emendamento sulla norma transitoria per la composizione del nuovo Senato, recependo così le richieste della minoranza dem. La sinistra chiedeva che nella norma transitoria, all’articolo 39 del ddl Boschi, di specificare che il Parlamento varasse, entro un tempo definito, la legge quadro per l’elezione dei futuri senatori, e che i Consigli regionali varassero a loro volta entro scadenze determinate, la normativa di propria competenza. Il governo inizialmente voleva evitare questo ritocco ma oggi ha accettato la richiesta.

Il j’accuse delle opposizioni sul deficit democratico
In mattinata le opposizioni avevano ventilato la possibilità di inviare una lettera a firma comune al presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinché intervenisse sul tema delle riforme costituzionali. Diversi gli appunti mossi. Tra questi quello di «un possibile deficit democratico». Dubbi anche sull’imparzialità nella gestione del presidente di Palazzo Madama Pietro Grasso.

Opposizioni furiose con Fi per voto con governo
Ma l’asse delle opposizioni che sembrava si stesse costruendo intorno alla lettera, si è incrinato dopo il voto contrario di 30 senatori azzurri, tra cui il capogruppo, all'emendamento all'articolo 17 presentato dalla minoranza Pd. Una scelta quella dei 30 senatori azzurri di allinearsi con il governo, che ha fatto scatenare le altre opposizioni, pronte a puntano il dito contro il gruppo guidato da Paolo Romani. «Oggi Forza Italia ha sostenuto la maggioranza votando insieme al Pd contro un emendamento all'articolo 17 - si legge in una nota di M5S - resuscitando in un colpo solo il Patto del Nazareno versione Ter ed andandosi ad aggiungere alla stampella dei verdiniani che stanno votando questa riforma assieme al Governo». Critiche respinte al mittente da Romani («Mi interessa di più la carta costituzionale del tatticismo parlamentare»).

Fi contro Lega: chi insulta non merita Parlamento
Il voto di Fi ha creato comunque qualche imbarazzo anche tra le file del Pd, dove non si stancano di ripetere che i 30 voti azzurri, che si sono aggiunti ai voti della maggioranza, non sono stati assolutamente determinati. Pallottoliere alla mano, la maggioranza, in effetti, sarebbe uscita indenne dal voto anche senza l'apparente soccorso azzurro. Quel voto ha segnato anche una sorta di spartiacque per le opposizioni, che sono tornate a dividersi. Da registrare, in particolare, le tensioni tra Lega e Forza Italia. «Chi esce, chi insulta, chi parla di patti del Nazareno inesistenti non sa nulla e forse non merita un posto in Parlamento». È stata questa la secca replica del capogruppo Fi a Palazzo Madama, Paolo Romani, dopo l'attacco della Lega a Forza Italia per il voto con cui avrebbe fatto da «stampella» al Governo su un emendamento del ddl Riforme. Già in Aula, Romani aveva detto duro ricordando che i voti azzurri non sono stati determinanti : «Non c’è limite al peggio».

Fi e M5s scrivono a Mattarella
Alla fine ognuno si è mosso per conto suo. Il capogruppo di Forza Italia al Senato, Paolo Romani, ottenuta la condivisione da parte di tutto il gruppo, ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. I contenuti della lettera non sono stati anticipati per «garbo istituzionale». Nella lettera vi è una relazione sull'andamento dei lavori a palazzo Madama sulle riforme. Il M5s ha chiesto un incontro al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per la «gravissima situazione istituzionale» che per il Movimento governo e maggioranza hanno determinato. Lo ha fatto con una lettera a firma Gianluca Castaldi e Giorgio Soral.

Sul primo voto segreto maggioranza a quota 143
In mattinata il primo voto segreto della giornata sulle riforme costituzionali in Aula al Senato - sull’articolo 12 - ha fatto registrare il punto più basso con la maggioranza scesa a quota 143. Nel secondo, che segue di pochissimi minuti, viene guadagnato un solo voto e l’asticella sale a 144. Nei successivi a scrutinio palese i numeri della maggioranza risalgono stabilmente sopra i 160 voti, sfiorando a volte anche i 170. Con 168 sì, 103 no e 4 astenuti Palazzo Madama ha poi approvato l’articolo 12 del ddl Boschi che modifica l’articolo 72 della Costituzione sulle modalità di presentazione dei disegni di legge e i regolamenti parlamentari. Sì anche agli articoli 13, relativo al giudizio preventivo della Corte costituzionale sulle leggi elettorali, 14, 16 (decretazione d’urgenza da parte del governo) e 17. Quest’ultimo - passato con 153 voti a favore, 107 contrari e 9 astenuti - prevede che la Camera dei deputati deliberi a maggioranza assoluta lo stato di guerra conferendo al governo i poteri necessari.

De Petris (Sel): ritiriamo tutti emendamenti
Intanto in serata la capogruppo Sel in Senato, Loredana De Petris, ha annunciato il ritiro di tutti gli emendamenti, tranne uno all'articolo 33. «Da parte della maggioranza non c'è alcun cenno di voler comprendere le nostre ragioni. C'è un senso di frustrazione» ha detto De Petris, che ha aggiunto: «È inutile che ci spossiamo a farvi comprendere che servivano delle modifiche»

© Riproduzione riservata