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L'ira del premier: basta così si danneggia soprattutto la Capitale

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Politica

L'ira del premier: basta così si danneggia soprattutto la Capitale

Matteo Renzi ha rimesso piede a Palazzo Chigi da pochi minuti, di ritorno dal lungo viaggio tra Cile, Perù, Colombia e Cuba, quando dal Comune di Roma giunge la notizia che Ignazio Marino ha stracciato le sue dimissioni sfidando il Pd a un confronto nell'aula consiliare. Più che ira il sentimento del premier è quello dello scoramento: al suo ritorno avrebbe voluto trovare il “faldone” giù chiuso, per aprire con novembre la pagina nuova della gestione commissariale della città e dello sforzo per il Giubileo sotto le ali del supercommissario Franco Gabrielli. In modo da far scordare il prima possibile ai romani questo balletto incomprensibile alla luce dei gravi problemi della città. «Ora basta, così Marino non danneggia solo il Pd ma soprattutto danneggia la città - è lo sfogo con i suoi -. Ogni ora in più che si perde in questo pantano fa del male alla Capitale e ricopre di fango il partito».

L'ordine di scuderia è già dalla mattina, appurato durante il lungo vertice di mercoledì sera a casa del vice sindaco poi dimessosi Marco Causi dell'ostinazione di Marino ad “andare avanti”, quello delle dimissioni in blocco di tutti i 19 consiglieri comunali del Pd. Ai quali si devono aggiungere altri 6 consiglieri per arrivare a quella quota 25, la maggioranza più uno, necessaria per far decadere sindaco e Giunta senza dover passare per un voto di sfiducia. La riunione a Largo del Nazareno con Matteo Orfini e i consiglieri capitolini del Pd è già in corso da un bel po' quando arriva la notizia della contromossa di Marino. Contromossa che dovrebbe accelerare gli eventi, ma così non è: da parte dei consiglieri c'è comprensibilmente qualche resistenza a dimettersi in blocco (quali garanzie di ricandidatura?) e i sei consiglieri aggiuntivi non firmano in mezz'ora, anche perché qualcuno è fuori Roma. Nel tardo pomeriggio scende in campo anche il braccio destro di Renzi, Luca Lotti. E in tarda serata da Largo del Nazareno trapela ottimismo: entro oggi saranno sul tavolo tutte le 19 lettere di dimissioni dei democratici e anche le altre 6 necessarie a raggiungere la maggioranza assoluta.

Le dimissioni non sono ancora sul tavolo che nel Pd già comincia lo scambio di accuse per una situazione protrattasi in malo modo oltre le aspettative. Qualche preoccupazione trapela dalle fila dei Giovani Turchi perché la vicenda sta mettendo in difficoltà il loro leader Orfini. Anche se Renzi continua a ripetere di avere «piena fiducia» nel commissario di Roma (e ieri lo ha ripetuto anche Lotti), nella maggioranza renziana del partito sono in molti a pensare che magari non subito ma tra qualche mese il segretario-premier presenterà il conto a Orfini per una vicenda gestita non al meglio. Ma dalla minoranza dem fanno notare che anche Renzi ha le sue responsabilità. E che se si perde Roma, anche vincere nelle altre grandi città sempre che si riesca a vincere (proprio ieri è arrivata da Giuseppe Sala la conferma di una generica disponibilità a candidarsi a Milano) non cancellerebbe la sensazione di una sconfitta.

Rischio ben presente a Renzi, naturalmente, che punta intanto sulla rapida chiusura della vicenda Marino per lanciare la gestione commissariale della città e la squadra che affiancherà Franco Gabrielli nella gestione del Giubileo (si veda articolo a pagina 10). Quanto alla candidatura, il premier ci ha messo la testa già da un po'. L'opzione politica comprende nomi forti di ministri, che tuttavia non sembrano entusiasti a correre in una città difficile da recuperare: da Paolo Gentiloni a Dario Franceschini, da Marianna Madia a Beatrice Lorenzin. E non sono sfuggite nel Pd le ultime mosse del presidente dell'Anac Raffaele Cantone: prima la “denuncia” di Roma come priva di «anticorpi» contro la corruzione a differenza di Milano, novella «capitale morale d'Italia»; poi, ieri, l'annuncio di valutare una sua uscita dall'Anm (si veda pagina 27). Da qui la suggestione di una candidatura di Cantone a sindaco di Roma, candidatura che toglierebbe al Pd molte castagne dal fuoco. Ma, appunto, per ora è solo una suggestione.

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