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Mafia, rivolta di 36 imprenditori di Bagheria contro il pizzo: 22…

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colpo al racket delle estorsioni

Mafia, rivolta di 36 imprenditori di Bagheria contro il pizzo: 22 arrest

  • –di Nino Amadore

Ha pagato per dieci anni, schiavo dei ricatti e delle minacce dei boss. C’era ancora la lira, erano gli anni Novanta e certo il clima era completamente diverso da quello di oggi. Lui è un imprenditore edile di Bagheria, nel pesantissimo mandamento mafioso della provincia di Palermo che fu rifugio dorato del latitante Bernardo Provenzano e che è stato luogo di latitanza anche per Matteo Messina Denaro. L’imprenditore ha pagato, in silenzio, tre milioni al mese alla famiglia del reggente del mandamento mentre era in carcere e ha anche versato a Cosa Nostra significative percentuali dell’importo degli appalti aggiudicati. Pagamenti continui fino a dissanguarsi: prima la chiusura dell’azienda, poi la vendita dell’abitazione per far fronte alle richieste estorsive. Lui è uno dei 36 imprenditori che hanno denunciato e detto di no alla mafia e al racket. Una ribellione che fa dire al presidente del Consiglio Matteo Renzi su Twitter: «Grazie al coraggio di chi rifiuta ricatti, grazie a Carabinieri e inquirenti. Bagheria non è cosa loro».

Il sistema della mafia bagherese era scientifico. Pagavano tutti: supermarket, attività all’ingrosso di frutta e verdura e di pesce, bar, sale giochi, centri scommesse: sono una cinquantina le estorsioni documentate.  Le denunce circostanziate degli imprenditori sono alla base dell’operazione «Reset 2» coordinata dalla Procura antimafia di Palermo guidata da Franco Lo Voi e condotta dai carabinieri che hanno eseguito 22 ordinaze di custodia cautelare in carcere: i soggetti soggetti sono quasi tutti pezzi da novanta dell’organizzazione mafiosa del palermitano come i Mineo, gli Scaduto, Eucaliptus, Flamia. Uno dei Flamia, Pietro Giuseppe detto il porco, oggi detenuto, scarcerato nel 2013 si mette all’opera per continuare a vessare gli imprenditori alcuni dei quali sotto pressione a partire dal 2003: finito in carcere, ai parenti che lo andavano a trovare raccontava storie di vecchia mafia, ricostruiva faccende di pizzo e affidava i pizzini delle ambasciate. Mentre i carabinieri del Reparto operativo e del Nucleo investigativo, agli ordini del colonnello Salvatore Altavilla e del maggiore Dario Ferrara, ascoltavano e trascrivevano tutto .

E un altro dei Flamia, Sergio, oggi collaboratore di giustizia, ha invece contribuito con i suoi racconti a far luce su alcune vicende. «Vale la pena sottolineare la valenza organizzativa e la strategia operativa sul filone delle estorsioni e le pressioni che Cosa Nostra fa sul tessuto imprenditoriale della Provincia. Un filone su cui intendiamo proseguire anche grazie alla collaborazione con le associazioni antiracket e degli imprenditori», dice il comandante provinciale dei carabinieri Giuseppe De Riggi». E il comandante del reparto operativo Salvatore Altavilla aggiunge:«Il momento centrale dell'operazione è la scelta di 36 imprenditori che decidono di collaborare per non sottostare piu' all'imposizione del pizzo». E il procuratore di Palermo Lo Voi aggiunge: «Ci sono occasioni, come quella odierna, in cui è necessario presentare all’opinione pubblica i risultati di alcune indagini, senza ovviamente emettere alcun giudizio. È necessario presentare i risultati, senza rincorrere i riflettori, soprattutto quando si parla di mafia e in un territorio come quello di Bagheria, che in passato ha visto operare soggetti di primo piano per garantire la latitanza di Bernardo Provenzano. È necessario rendere noti i risultati di queste indagini quando ci si confronta con la mafia che continua a soggiogare l'economia, il territorio, gli imprenditori. E quando, come in questo caso, quasi quaranta imprenditori decidono di collaborare con lo Stato ammettendo o denunciando l'estorsione».

Di fatto questi arresti dimostrano una vitalità enorme del movimento antiracket in luoghi da sempre controllati militarmente da Cosa Nostra. Come sottolineano le associazioni Addiopizzo e Libero Futuro, che hanno dato supporto ad alcuni imprenditori che hanno denunciato: «Anche se per molti anni le infiltrazioni e i condizionamenti di Cosa Nostra sono risultati gravi sul tessuto sociale ed economico del territorio della provincia, le indagini odierne - si legge in una nota di Addiopizzo - oltre alle operazioni antimafia di questi ultimi anni, registrano dei significativi segnali di resistenza da parte di molti operatori economici. La straordinaria azione repressiva delle forze dell'ordine e dei magistrati, i diversi collaboratori di giustizia e il percorso di affrancamento dal fenomeno estorsivo di commercianti e imprenditori, sostenuto dalle associazioni antiracket, rilevano come anche su questa area della provincia così difficile ci possano essere le condizioni per sgretolare il muro di omertà e voltare pagina. L’azione delle forze dell'ordine e dell'autorità giudiziaria e il perseverante lavoro nel territorio condotto dalle associazioni hanno creato una rete di soggetti in grado di offrire competenze, tutele e schermo necessari affinché chi denuncia possa farlo in sicurezza».

E il presidente di Confindustria Palermo Alessandro Albanese dice: «Si tratta di un'operazione importantissima che dimostra la capacità di risposta dello Stato e delle forze dell'ordine, ma anche come la chiave di volta in questa battaglia sia la risposta dell'imprenditore. La mafia è ancora presente sul territorio, ancora non è stata estirpata, ma se l'imprenditore, se i commercianti non si piegano, si fa un passo avanti decisivo. La rivolta delle imprese è importantissima. Confindustria è compatta su questa battaglia
e a fianco di chi si ribella. Pagare non paga, non conviene non bisogna cedere e denunciare tutto un minuto dopo la richiesta estorsiva. Lo Stato ha la forza per proteggere chi
fa il suo dovere».

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