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Dal Piemonte alla Sicilia tutte le spese fuori controllo delle Regioni

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un macigno da 153 miliardi

Dal Piemonte alla Sicilia tutte le spese fuori controllo delle Regioni

Non è certo un caso che la tensione fra Renzi e le Regioni sia salita ai massimi proprio mentre si discute di misure «salva-Sicilia» e di decreto «salva-Piemonte», che al di là del titolo è in verità un più generale provvedimento «salva-Regioni». Dall'altra parte del tavolo il premier osserva giocatori in affanno, schiacciati da una spesa che negli anni si è gonfiata fino a 153 miliardi e ha moltiplicato le tasse più dei servizi.

Proprio il «salva-Regioni», già saltato due volte e ieri riesaminato nella riunione tecnica di preparazione al consiglio dei ministri, è il segno più recente di un problema tutt'altro che nuovo. Il decreto non offrirebbe nuovi soldi cash, ma permetterebbe di ripianare in 30 anni i disavanzi (9 miliardi di euro secondo le stime circolate in queste settimane) che si sono aperti negli anni scorsi dalla gestione dei fondi sblocca-debiti, anticipati dal Governo per consentire alle Regioni di pagare le fatture arretrate, ma dirottati in molti casi ad aumentare gli spazi di spesa corrente. Questo escamotage, alimentato due anni fa anche da una norma non troppo chiara e da istruzioni non proprio cristalline da parte dei tavoli governativi sulla sua applicazione, è crollato a giugno con la sentenza della Corte costituzionale che ha giudicato illegittimi i bilanci 2013 del Piemonte, facendo però risuonare l'allarme anche lontano da Torino.

Spesa senza limiti
Alla base del problema c'è infatti il vizio consolidato dei conti regionali: una spesa corrente che negli anni si è ingigantita fino a 153 miliardi di euro e ha trascinato con sé la pressione fiscale, fatta non solo delle tasse “regionali” anche nel nome (71,2 miliardi nel 2013), ma anche delle quote di tasse, Iva in primis, girate dallo Stato, che sono raddoppiate in dieci anni portando le entrate tributarie regionali a sfiorare i 130 miliardi all'anno.

Sul fondo sanitario, che assorbe i tre quarti delle uscite regionali, la battaglia è ancora concentrata sulla dinamica degli aumenti (si veda l'altro articolo in pagina), ma anche lontano da aziende sanitarie e ospedali si incontrano voci che negli ultimi anni si sono dimostrate più riottose del previsto nei confronti dei vari tentativi di spending review.

Beni e servizi
Gli acquisti, protagonisti immancabili di ogni manovra intitolata alla «revisione della spesa», nelle ultime tabelle elaborate dall'Istat e relative al 2013 sono volati a 6,28 miliardi, contro i 4,58 dell'anno prima, e va sottolineato che l'Istituto di statistica guarda agli impegni, e non ai pagamenti effettivi influenzati proprio dagli sblocca-debiti varati due anni fa per onorare le vecchie fatture. Nel loro complesso, a fine 2013 gli impegni relativi alla spesa corrente si sono quindi fermati pochi spiccioli sotto i 153 miliardi di euro, con un aumento dell'1,75% rispetto all'anno prima. Per il 2014 mancano ancora i dati organici sui consuntivi riorganizzati dall'Istat, ma i segnali che arrivano dalla cassa e monitorati dal sistema informatico dell'Economia (Siope) parlano di un altro aumento, di poco inferiore al miliardo.

Senza le manovre di finanza pubblica degli ultimi anni, com'è ovvio, la dinamica sarebbe stata assai più vivace, ma a frenarla sono state scelte prese fuori dalle Regioni: prima di tutto l'accoppiata prodotta dal congelamento dei contratti del pubblico impiego e dai limiti al turn over, che hanno imposto la marcia indietro alla spesa di personale.

Da Torino a Napoli
Certo, come sempre quando si parla di finanza locale è bene ricordare che non tutti i casi sono uguali. Chiamparino, presidente “congelato” della conferenza delle Regioni, si trova a gestire un super-disavanzo da 5,8 miliardi creato dalle bocciature costituzionali dei bilanci 2013, chiusi dall'amministrazione a guida leghista, e dall'emergere di debiti extra nati ancora prima, ai tempi della vecchia giunta di centrosinistra. Nel Lazio la montagna dei debiti accumulati con i fornitori era tale che alla Regione sono arrivati 8,7 dei 20,1 miliardi distribuiti in tutta Italia dal ministero dell'Economia, e anche lì la gestione delle prime tranche ha sollevato più di un'obiezione da parte dei magistrati contabili. Nella classifica dei prestiti da Via XX Settembre arriva la Campania, che nei propri bilanci mostra più di un indicatore problematico: la spesa per l'acquisto di beni e servizi nel 2013 (i dati sono sempre quelli rielaborati dagli ultimi report dell'Istat) è stata di 133,5 euro ad abitante, cioè il 62% in più della media delle Regioni ordinarie, e anche nelle spese del personale Napoli primeggia fra le grandi Regioni.

Il caso Sicilia
Fuori gara, da questo punto di vista, è la Sicilia, «speciale» più nello Statuto che nelle funzioni esercitate in modo davvero autonomo. Nell'Isola gli stipendi regionali viaggiano vicini ai 200 euro ad amministrato, un dato che non conosce rivali se non nelle piccole Autonomie del Nord - Valle d'Aosta e Trentino Alto Adige - che però svolgono in prima persona anche funzioni statali, con meccanismi generosi e finanziati dalle tasse che rimangono sul territorio. E siccome anche nella finanza locale la forza dei numeri è difficile da aggirare, la Sicilia dagli organici giganti e dai servizi zoppicanti vive una perenne crisi di liquidità che proprio in queste settimane vive una delle ricadute più gravi: il primo compito del neonato Crocetta-quater sarà quello di tornare a chiedere un salvagente allo Stato, dopo che le riunioni delle scorse settimane a Palazzo Chigi non hanno chiuso la partita e hanno visto il sottosegretario Claudio De Vincenti limitarsi a dichiarare, con gusto per l'eufemismo, che in Sicilia «la situazione è complessa». Il risultato dipende ovviamente anche da come si svilupperà la finanziaria regionale, che nel «bozzone» preparato dall'assessore all'Economia Alessandro Baccei (riconfermato) prevede tagli per 300 milioni.

La manovra
In questo quadro, come ha spiegato anche ieri la Corte dei conti, non basta rivedere le previsioni di spesa, ma occorre anche trovare misure pratiche di «efficientamento». Altrimenti il «sostanziale raddoppio» evocato dai magistrati rischia di allargare le «già ampie eccezioni» al blocco delle aliquote. E a pagare, ancora una volta, saranno i contribuenti.

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