Nella scelta della carriera, i fattori sono tre: passione, prospettive di lavoro e genitori. Non sempre in quest'ordine, però: in Italia solo il 48% delle famiglie dà carta bianca ai figli nello sviluppo delle proprie vocazioni professionali, contro una media globale del 60% e i picchi dal 70% in su per economie come Germania, Stati Uniti e Giappone. Il dato è stato fornito da LinkedIn in occasione dell'ultimo Bring your parents day, l'«open day al contrario» che permette ai professionisti di 17 paesi al mondo di far conoscere le rispettive vite professionali alla famiglia.
Gli under 30 italiani sono in bilico tra la conquista di una maggiore autonomia e la dipendenza (o, a volte, le imposizioni) di famiglie un po' troppo ingombranti. Non si raggiungono gli standard di Cina e Brasile, dove il modello del “genitore elicottero” che telecomanda studi e lavoro dei figli incide sul 55% e addirittura il 73% dei casi. Ma da qui all'indipendenza che si respira in nord Europa e States, la strada è lunga. Elisabetta Camussi, professore associato di psicologia sociale alla Bicocca, ci spiega che le famiglie interpellate in fase di orientamento spingono soprattutto sulle figure più «stabili» nella propria percezione.
È il caso di medici e commercialisti, per citarne due: «Il perché è facile da spiegare: sono due tra le poche professioni che mantengono una linearità perfetta tra quello che si è studiato e il lavoro che si può fare. Oltre a conservare un certo status rispetto a 'come era una volta' – dice Camussi - Ma se uno non entra a medicina o non è portato per l'economia? Ci sono studenti che provano per quattro anni di fila a entrare in un corso. E si precludono tutto il resto».
Se i «consigli» frenano l'autonomia
La ricerca LinkedIn non nega il ruolo naturale dei genitori come guida («faro») per la maturazione di una scelta consapevole. Anzi, uno tra i desideri più diffusi a carriera iniziata è proprio quello di rendere più partecipe la famiglia sulla strada intrapresa – o almeno di far capire che lavoro si sta facendo, se si considera che il 55% dei genitori intervistati da LinkedIn ammette di «non sapere molto» sull'attività professionale dei figli.
Qualche esempio? L'83% delle famiglie non riuscirebbe a definire le mansioni di un data scientist, lo “scienziato dei dati” che analizza il flusso di informazioni del web. Una specializzazione che registra un boom di domande e stipendi inquadrati dal portale statunitense Payscale fino a picchi di oltre 130mila dollari Usa. «Ma fin qui non c'è nulla di preoccupante. L'evoluzione delle professioni è talmente rapida che è naturale perdere per strada qualcosa. L'importante è fare attenzione e cercare di capire» dice Camussi.
Il problema è quando le “attenzioni” si trasformano in interferenze o chiusura verso tutti i profili che non coincidono con i vecchi schemi professionali. Indicativo il caso di matematica: una delle lauree con più potenziale per una carriera su scala internazionale viene ancora «sottostimata» rispetto a corsi che forniscono sbocchi univoci sul lavoro. E pazienza se si parla del quarto gruppo disciplinare con più prospettive di impiego secondo AlmaLaurea, con un tasso di occupazione a cinque anni dal titolo pari all'88%. «I laureati in matematica trovano spazio ovunque, dalla ricerca alla finanza. Eppure, per questioni di status, c'è chi è ancora scettico. Ma se ci si fissa solo su alcuni corsi di laurea si perde progettualità e non si riesce a costruire un percorso autonomo» osserva Camussi.
Famiglia e amici, una “agenzia informale” per quasi un giovane su tre
Quando si parla di «percorso autonomo» si intende soprattutto la ricerca di un impiego. Ed è qui che le influenze famigliari si fanno sentire di più. Nell'era di agenzie online, tirocini all'estero e social network professionali, famiglia e conoscenze si mantengono un canale privilegiato. Dati Isfol parlavano, già nel 2011, di un'incidenza di circa il 30% di «amici, parenti, conoscenti» nella caccia a un'occasione lavorativa. Quattro anni dopo, lo scenario non è cambiato granché. Come ci spiega Elisa Zonca, career adviser di Randstad, «l'entourage famigliare è ancora un tema molto forte. Stiamo parlando di un'agenzia formativa per eccellenza nel sistema italiano. Tanti ragazzi tendono a passare attraverso il nucleo di casa piuttosto che candidarsi in autonomia per curriculum, passione e interessi».
C'è da dire che gli under 30 italiani non vanno incontro a una protezione sociale generosa come quelle che attende i coetanei più “indipendenti”, ad esempio in Scandinavia. E, in assenza di benefit, la dipendenza dal nucleo famigliare può essere il rifugio più pratico. Zonca ribadisce l'utilità di un confronto tra genitori e figli nell'orientamento all'università e al lavoro. Purché i confini non si confondano troppo. «Spesso si fanno dei confronti, ma si dimentica che si parla di mondi completamente diversi tra di loro. L'ottica dovrebbe essere informativa, esplorativa. Se non cerchi, non cresci».
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