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«Camorra Capitale»: il boss napoletano ruba la scena alla mala…

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AL VIA oggi il processo

«Camorra Capitale»: il boss napoletano ruba la scena alla mala romana

ROMA - Ha avuto la (s)fortuna di vivere all'ombra dell'indagine Mondo di mezzo, che due mesi prima aveva fatto scoprire un sistema marcio di corruzione, violenza, degrado e, sempre secondo la pubblica accusa, mafia di matrice originaria e originale nella Capitale.

Eppure l'inchiesta Tulipano, ribattezzata subito dai cronisti “Camorra Capitale”, rivelata dalla stessa Procura di Roma il 10 febbraio di quest'anno, non è da meno per numero di soggetti originariamente indagati (61), caratura (un nome per tutti: Domenico Pagnozzi), reati contestati (tra gli altri traffico di droga, riciclaggio, reimpiego di capitali di provenienza illecita, estorsioni, intestazione fittizia di beni, illecita concorrenza con violenza e minaccia), dinamiche delinquenziali (i Casamonica ritenuti al servizio e succubi di Pagnozzi), evoluzioni criminali (un'associazione mafiosa e un'altra, separata, finalizzata allo spaccio di droga, sempre in capo allo stesso Pagnozzi), “matrimoni” di interesse illegale (rapporti con la famiglia calabrese Pelle di San Luca e con i Senese dalla Campania), controllo del territorio (la Tuscolana era “cosa dei napoletani” nonostante a due passi fossero di casa proprio i Casamonica).
Avrete capito che Pagnozzi, detto “occhi di ghiaccio”, “Ice” o “Mimì o professore”, 54 anni, laurea in Medicina e chirurgia, boss dell'omonimo clan campano, è la figura chiave del processo che inizia proprio oggi a Roma con rito immediato cautelare (senza udienza preliminare). In primo grado il 31 ottobre 2014 Pagnozzi è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio di Giuseppe Carlino commesso con Michele Senese lungo il litorale romano di Torvaianica il 10 settembre 2001 ma ha ben due sentenze passate in giudicato (10 ottobre 2002 e 24 gennaio 2006) per associazione mafiosa.

Molto ruota intorno al fatto che Pagnozzi – figlio di Gennaro, detto “o giaguaro”, già ritenuto da investigatori e inquirenti punto di riferimento per la criminalità organizzata nella Valle Caudina (Avellino) – ha, secondo l'accusa, allargato da anni il suo raggio di azione a Roma, dove arrivò nel 2005, con il «conseguente controllo di alcune aree territoriali – certifica a pagina 28 anche l'ordinanza del Tribunale del riesame di Roma del 23 febbraio – ben individuate nella parte sud della Capitale e precisamente in zona Tuscolana». Un controllo ed un'ascesa criminale portate avanti con due distinte associazioni delle quali una sarebbe secondo la Dda di schietto stampo mafioso, per quanto autonoma rispetto a quella di origine campana.
Anche in questo processo – come quello che nasce dall'indagine Mondo di mezzo – accusa e difesa si confronteranno nel dibattimento particolarmente sulla matrice mafiosa dell'associazione, atteso il fatto che, come scrive il Tribunale del riesame a pagina 31, «è assolutamente certo che nel materiale indiziario sia possibile affermare l'esistenza di un'associazione a delinquere». Lo stesso difensore di Pagnozzi, l'avvocato Dario Vannetiello del foro di Napoli, afferma la stessa ordinanza, non lo contesta ma si concentra a dimostrare (nel suo ricorso e di conseguenza da oggi sarà così anche in dibattimento) l'inesistenza dell'associazione mafiosa con argomentazioni «che non mirano a minare il quadro indiziario che concerne l'esistenza di un'attività criminale organizzata e promossa da Pagnozzi a Roma».

Vannetiello nel ricorso presentato al Tribunale del Riesame di Roma il 23 febbraio scrive, tra le altre cose, che «nonostante il lungo periodo investigato, nonostante le penetranti indagini svolte, con milioni di intercettazioni svolte (il fascicolo processuale è composto da oltre 100 mila pagine), non è emerso nessuna pluralità di fatti di sangue, neppure nessuna significativa violenza sulle cose (unico accadimento, incendio di una autovettura). Non solo. Difettano come difettavano anche i classici reati di mafia, quelli ai danni degli imprenditori ed i commercianti, tipici anche dell'associazione “madre”, il clan Pagnozzi operante in Campania».
Il Tribunale del Riesame gli ha dato torto e ha inoltre concordato pienamente con il Gip di Roma Tiziana Coccoluto sulla possibilità di ipotizzare il concorso formale tra l'associazione finalizzata allo spaccio e quella mafiosa dal momento che il sodalizio «finalizzato al narcotraffico non si pone in rapporto di specialità con il delitto di associazione di stampo mafioso dal momento che sono certamente diversi la ratio incriminatrice, il metodo ed il modello delle due norme».
Dopo il ricorso al Tribunale del Riesame i collegi difensivi di diversi imputati il 12 maggio hanno presentato istanza di rimessione del ricorso alle Sezioni unite della stessa Corte. I giudici della V sezione l'11 giugno (con deposito in cancelleria della sentenza il 12 luglio), si sono espressi rigettando quattro ricorsi tra i quali quello di Pagnozzi.
Vannetiello – legale storico di Pagnozzi – è comunque ancora sicuro di smontare le accuse di mafia ma la Procura è forte del quadro messo insieme, compresi i rapporti di sudditanza che alcune famiglie storiche avevano nei confronti di “occhi di ghiaccio” e dei suoi uomini. Il Tribunale del Riesame lo evidenzia bene a pagina 50 dell'ordinanza, quando scrive che «ciò che emerge con chiarezza dalle intercettazioni riportate nell'ordinanza del Gip è che i Casamonica sono costretti a pagare delle somme ad esponenti dell'associazione facente capo a Pagnozzi ed inoltre la preoccupazione che tale scomoda situazione sia propalata (da…omissis… o da esponenti del clan Pagnozzi) con conseguente perdita di prestigio criminale». Secondo il Tribunale del riesame il quadro indiziario a carico dei Casamonica (Ferruccio e Guido) era invece evanescente e per loro, dunque, è stata annullata l'ordinanza con la quale gli veniva contestato un tentativo di estorsione ed un altro episodio al solo Guido.

Pagnozzi, anche nell'interrogatorio sostenuto il 14 febbraio nel carcere di Spoleto (Perugia) dove era ristretto al carcere duro (attualmente è a Sassari), ha proclamato la sua estraneità al ruolo di vertice di una nuova cupola mafiosa e sarà interessante seguire un dibattimento nel quale la forza intimidatrice del vincolo associativo all'interno e all'esterno e la condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano, sembrano esplodere non solo nelle 1119 pagine dell'ordinanza ma anche nelle centinaia di riprese, intercettazioni ambientali e telefoniche e nelle migliaia di riscontri di inquirenti e investigatori. Il dibattimento – come sempre – sarà il terreno democratico di scontro e confronto tra accusa e difesa. Al giudice (uno o più) il compito di fare Giustizia.
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