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Fascicolo «dimenticato», il Pg chiede al Csm il proscioglimento…

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Fascicolo «dimenticato», il Pg chiede al Csm il proscioglimento di Bruti

È quasi più forte di un’archiviazione quella che la Procura generale della Cassazione chiede alla Sezione disciplinare del Csm nei confronti di Edmondo Bruti Liberati, da oggi in pensione dopo 45 anni di toga e cinque alla guida della Procura di Milano. La richiesta di «non farsi luogo al dibattimento» si basa infatti su una meticolosa ricostruzione dei fatti e su una rigorosa applicazione di norme e precedenti giurisprudenziali che escludono qualunque rilievo disciplinare all’ormai famosa vicenda del fascicolo Sea-Serravalle «dimenticato» da Bruti in cassaforte. Si smonta, così, la più pesante delle numerose accuse mosse a Bruti dal suo ex Aggiunto Alfredo Robledo (poi trasferito dal Csm a Torino), peraltro già smontate, una ad una, in varie sedi (penale, del controllo del Csm sul potere organizzativo dell’ufficio, disciplinare). Un’accusa di insabbiamento, detto brutalmente, e perciò potenzialmente infamante per un magistrato con alle spalle «un percorso professionale privo di qualsiasi ombra» - scrive la Procura generale nella richiesta mandata a Palazzo dei Marescialli il 28 ottobre - che ha diritto a una pronuncia nel «merito». Il Pg chiede infatti di non fermarsi a un’eventuale «improcedibilità» dettata dal pensionamento di Bruti, così facendosi carico anche di ciò che Bruti ha rappresentato nella storia della magistratura e dell’Anm, come hanno ricordato nei giorni scorsi istituzioni e molti magistrati.

Il Csm, però, non ha avvertito la stessa urgenza e quindi la responsabilità di una decisione tempestiva (qualunque sia), necessaria a spazzar via ombre nell’interesse della magistratura e in particolare della Procura di Milano, tanto più in vista dell’imminente nomina del successore di Bruti. Oggi scadono i termini e, oltre alle domande degli Aggiunti Ilda Boccassini, Francesco Greco e Alberto Nobili, sabato è arrivata quella di Giovanni Melillo, attuale capo di gabinetto del ministro della Giustizia Andrea Orlando, che si aggiunge ad altri candidati esterni. Sebbene siano tutti alti profili professionali, alla scelta del Csm non sarà estranea una valutazione sull’esigenza di garantire o meno continuità con la gestione precedente. Il che imporrebbe di far subito chiarezza su quella gestione. Ma tant’è: il Csm ha preferito che la “pratica” disciplinare su Bruti seguisse le vie ordinarie, per cui, salvo ripensamenti, se ne discuterà fra qualche mese. Intanto c’è già chi sostiene che con questa decisione si punta a favorire, nella successione, un candidato in “discontinuità” e, quindi, “esterno” alla Procura milanese, facendo leva anche su presunte ombre o divisioni interne lasciate da Bruti. Con il rischio, però, di nuocere alla funzionalità della Procura oltre che all’immagine della magistratura.

Forse perché consapevole della posta in gioco, il Pg della Cassazione (titolare dell’azione disciplinare) ha esaminato minuziosamente la vicenda addebitata a Bruti, nelle 28 pagine firmate dal sostituto Carmelo Sgroi e dal Procuratore Pasquale Ciccolo. Minuziosa è la ricostruzione dei fatti: da quando, il 25 ottobre 2011, la Procura di Firenze trasmette per competenza a Milano lo «scarno fascicolo» Sea con l’iscrizione a modello 45 (non-notizia di reato), a quando, dopo essere stato subito assegnato a Greco (capo del pool reati economici e finanziari) e da questi al collega Fusco, i primi di dicembre viene restituito a Bruti che preavverte Robledo (capo del pool reati contro la Pa) della consegna del fascicolo, poi, però, «dimenticato» in cassaforte fino al 16 marzo 2012, data dell’effettiva riassegnazione a Robledo con l’iscrizione a modello 44 (a carico di ignoti); finnché il 28 marzo il fascicolo passa al modello 21, con l’iscrizione come indagato di Vito Gamberale, amministratore della F2I spa, unica concorrente e aggiudicataria dell’asta per la cessione delle quote Sea, svoltasi il 16 dicembre 2011.

Il Pg ricostruisce poi il processo Sea seguito da Robledo, chiuso con il non luogo a procedere per insussistenza del fatto, disposto dal Gup il 24 ottobre 2014 e poi confermato in Cassazione.

A Bruti si contesta di non aver «immediatamente» iscritto nel registro degli indagati (mod. 21) e di aver omesso le necessarie indagini. Ebbene, sulla base dei fatti il Pg esclude la «tenuta» e la «sostenibilità in giudizio» di queste accuse. Sgroi ricorda che, secondo la Cassazione, l’obbligo del pm di iscrivere sussiste «soltanto se e quando emergano nei confronti di un soggetto specifici elementi indiziari» mentre è «esclusa la rilevanza di meri sospetti». Bruti non è stato inerte perché ha comunque qualificato e catalogato la notizia. D’altra parte, «nessuno dei sei certamente esperti magistrati (i due pm di Firenze e poi Bruti, Greco, Fusco, Robledo), che variamente e in tempi contigui hanno preso visione dello scarno fascicolo sembra essersi posto la questione di una qualificazione formale tale da imporre l’iscrizione nel registro delle notizie di reato».

In questo quadro, «le perentorie considerazioni postume» di Robledo» al Csm, dopo oltre tre anni dai fatti, «appaiono, nella loro radicalità espressiva, contraddittorie (“Uno studente universitario di medio livello la vede subito”; “Era evidente, era solare”)». «Congetture», le chiama il Pg. I fatti dimostrano che «un’iscrizione è stata svolta e lo è stata, incensurabilmente in sede disciplinare, nel senso della riconduzione alle non-notizie di reato». Con «un’assegnazione formale a Greco e a Fusco».

Quanto alla presunta inerzia investigativa, intanto sarebbe possibile ipotizzarla se ve ne fosse il presupposto, cioè «l’esistenza di una notizia di illecito penale intorno alla quale si debba svolgere un accertamento». Ma se «non è suscettibile di addebito l’aspetto dell’iscrizione», «non potrebbe esserlo l’inazione su una non-notizia di reato». Né si può dar peso alle parole di Robledo davanti al Csm, quando dice di non essere convinto della «dimenticanza» di Bruti, «alludendo» così a una condotta dolosa per favorire gli interessi di Gamberale o addirittura a una volontà «di insabbiamento»: «allusione» che in tutte le sedi è rimasta «completamente priva di riscontro».

Di qui la richiesta di «non farsi luogo al giudizio disciplinare per essere escluso l’addebito in tutte le sue componenti contestate». Richiesta «prevalente» rispetto a un’eventuale dichiarazione di «improcedibilità» per l’imminente pensionamento di Bruti. E non solo perché, se il fatto non sussiste, il giudice deve dichiararlo, ma anche perché «deve considerarsi prevalente l’esigenza di una statuizione sul merito della vicenda, all’interno di un percorso professionale privo di qualsiasi ombra».

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